Un sistema piccolo ma fondamentale: il carrello d’atterraggio
Se provassimo a chiedere a qualcuno di disegnare un aereo in pochi secondi, o se facessimo un brain storming sui principali sistemi di un velivolo, non è difficile immaginare quali sarebbero le risposte più gettonate: i comandi di volo, i motori, il computer di bordo… In pochi, probabilmente, penserebbero al carrello d’atterraggio. Eppure si tratta di un sistema particolarmente importante per rendere possibile e sicuro il decollo e l’atterraggio. Non solo, anche dal punto di vista strutturale è tutto tranne che trascurabile: può rappresentare fino al 20% del peso a vuoto dell’aeroplano e fino al 7% di quello a pieno carico!
Il carrello di atterraggio: una struttura complessa
Il carrello deve svolgere principalmente due funzioni: dissipare l’energia cinetica del moto verticale del velivolo e permetterne il movimento a terra. Schematicamente, i principali componenti si possono riassumere in:
- cinematismi di estrazione, retrazione e bloccaggio delle ruote;
- ammortizzatore;
- freni e pneumatici;
La parte meccanicamente più complessa risiede nei cinematismi di estrazione, retrazione e bloccaggio del carrello. Se da un lato l’elevata massa del sistema permette l’estrazione delle ruote unicamente sfruttando la gravità, dall’altro, però, questo significa che, per poter effettuare correttamente sia il bloccaggio che la retrazione, occorre compiere un notevole lavoro meccanico.
Lavoro che viene svolto mediante l’utilizzo di martinetti idraulici e/o di attuatori elettrici: il progetto di un carrello richiede quindi, molto spesso, la coesistenza di un sistema idraulico e di uno elettrico dedicati. Infine, è fondamentale la presenza di un sensore di carico collegato al comando di retrazione per evitarne l’attivazione accidentale con il velivolo a terra.
La complessità di questo sistema risiede nei molteplici fattori che devono essere indagati a fondo nella fase di progetto. In primo luogo vanno studiate le interferenze strutturali e aerodinamiche con la fusoliera. Inoltre, la geometria del cinematismo deve cercare di ottimizzare le posizioni reciproche di tutti i componenti impiegati, evitando al contempo di generare momenti flettenti insostenibili per la struttura. Nei velivoli di medie/grandi dimensioni è presente, oltre al carrello di atterraggio principale, anche un piccolo carrello ausiliario per sostenere la parte anteriore della fusoliera. In questo caso, sia la fase di estrazione che quella di retrazione si effettuano grazie al lavoro di uno specifico attuatore.
Atterrare in sicurezza: l’ammortizzatore del carrello d’atterraggio
Tra i motivi che rendono l’atterraggio una delle fasi più critiche del volo vi è la grandissima quantità di energia cinetica in gioco. Il compito del carrello è proprio di quello di assorbirla adeguatamente: ciò viene fatto per mezzo di un ammortizzatore oleopneumatico. Schematizzando il problema, possiamo dire che la ruota del carrello è collegata a un pistone, a sua volta inserito in un cilindro e immerso in dell’olio idraulico. Sempre all’interno di questo cilindro – che costituisce l’ammortizzatore – vi è anche una certa quantità di gas inerte, che viene però tenuto separato dall’olio.
Quando il velivolo tocca terra, la forza esercitata sulla ruota schiaccia il pistone: il suo moto porta a una compressione adiabatica del gas, che dunque accumula energia potenziale. Questo si traduce, per la legge di stato dei gas, in un aumento della pressione che il gas va ad esercitare sull’olio. Olio che, a sua volta, si trova a contatto con il piatto del pistone, la cui superficie si presenta traforata da numerosi forellini. L’aumentata pressione del gas costringe quindi l’olio a fluire attraverso questa serie di piccoli canali dal diametro molto ristretto.
Trattandosi l’olio di un flusso molto viscoso, durante il trafilamento subisce l’effetto di una forza di attrito – come previsto dalla teoria del flusso di Poiseuille – che ne ostacola il moto, dissipando l’energia cinetica in calore. Proprio quest’ultimo passaggio è ciò che permette di ammortizzare l’energia cinetica, agente sul velivolo, nell’istante dell’atterraggio.
Riassumendo, quindi, l’energia cinetica dell’aeroplano viene dapprima immagazzinata come energia potenziale grazie alla compressione del gas. L’elevato valore di pressione raggiunto da quest’ultimo mette in movimento il fluido attraverso gli orifizi del piatto del pistone, ritrasformando l’energia potenziale in cinetica. Tale energia, però, si dissipa sotto forma di calore per effetto viscoso e il pistone raggiunge la posizione di equilibrio.
Spostarsi a terra in sicurezza: freni e pneumatici
Ammortizzata l’inerzia del touch down, occorre ancora arrestare il mezzo in tutta sicurezza. Questo avviene mediante il corretto funzionamento degli pneumatici e dei freni. Per quanto riguarda gli pneumatici, l’aspetto che li differenzia maggiormente da quelli di impiego automobilistico è la loro natura rigata e non tassellata. Una caratteristica fondamentale e resa necessaria dal fenomeno dello spin-up: la ruota, infatti, durante l’atterraggio subisce un’istantanea messa in rotazione nel momento di contatto con la pista, fenomeno che strapperebbe via la tassellatura. La rigatura, invece – disposta ovviamente solo longitudinalmente per lo stesso motivo – permette di smaltire una certa quantità di acqua in caso di pista bagnata, contrastando l’acquaplaning della ruota.
I freni invece sono fondamentali per arrestare del tutto l’aereo: dopo l’apertura degli spoiler e l’attivazione degli inversori di spinta, rappresentano la fase finale e decisiva della frenata al termine dell’atterraggio. Sono costituiti da classici freni a disco e dispongono di dischi multipli per poter smaltire tutta l’energia cinetica. Cruciale infine è il sistema di antiskid: evitare il blocco delle ruote permette di mantenere la massima efficacia della frenata, esattamente come accade con l’ABS delle automobili.
E se qualcosa va storto con il carrello di atterraggio?
Nella storia dell’aviazione si contano svariati incidenti causati da un malfunzionamento del carrello, fortunatamente con conseguenze spesso non catastrofiche. Il guasto più comune riguarda la fase di estrazione prima dell’atterraggio: un’eventualità, questa, che coinvolge il “carrellino” anteriore, l’unico che non raggiunge la posizione unicamente per gravità. Qualunque sia l’errata posizione assunta, ciò comporta un eccessivo attrito con la pista con conseguente possibile principio di incendio. Tuttavia, si tratta di un inconveniente che quasi mai porta a gravi conseguenze per le persone a bordo.
Ben diverso, invece, il discorso quando il guasto riguarda i freni: in questo caso l’aereo in fase di atterraggio rischia di finire fuori pista, con conseguenze anche catastrofiche. È quanto accaduto, per esempio, al volo Atlantic Airways 670. Un malfunzionamento degli spoiler (aerofreni) portò il pilota all’utilizzo del freno di emergenza. A causa di un errore di progettazione, questo non prevedeva l’antiskid: così, per via della pista bagnata, le ruote si bloccarono, strisciando sul terreno e facendo perdere alla frenata gran parte della sua efficacia. Il velivolo uscì di pista e si contarono 4 morti.
Ancora più terribile il caso del Concorde, il famosissimo jet supersonico francese. Un piccolo pezzo di metallo, rimasto accidentalmente sulla pista, causò lo scoppio di uno pneumatico durante il rullaggio al decollo. Un frammento colpì l’ala, causando immediatamente una enorme fuoriuscita di carburante, che scatenò un incendio. L’equipaggio tentò di sollevarsi da terra, ma le fiamme portarono in pochi secondi il velivolo a schiantarsi al suolo.
A cura di Alessandro Aimasso