La nuova idea di “scavare nella Luna” è il trend che sta nascendo oltre l’Europa. L’analisi del nostro satellite naturale dovrebbe contribuire a contenere i costi della costruzioni delle future basi lunari. I ricercatori dell’Università dell’Arizona, Jekan Thanga e Moe Momayez, parte del team del College of Engineering, hanno ricevuto un ingente finanziamento pari a 500,000 dollari da parte del colosso NASA per sviluppare un nuovo sistema di estrazione del suolo lunare: l’dea è quella di utilizzare dei robot per scavare sulla Luna.
L’obiettivo è quello di sviluppare dei robot autonomi che “in massa” siano in grado di scavare ed estrarre le risorse minerarie presenti sulla Luna. Ma qual è l’obiettivo finale di questo investimento? Lo scopo è proiettato verso il futuro e riguarda il fatto che i ricercatori pensano che un giorno sarà necessario poter estrarre le materia prime del corpo celeste che si sta studiando. Infatti, è noto che a questo fine è prevista la costruzione di varie stazioni permanenti situate sulla Luna.
Secondo la teoria sostenuta dagli scienziati, Luna e Terra avrebbero due composizioni chimiche estremamente simili. Questa ipotesi è sostenuta dal fatto che si pensa che i sue corpi celesti siano in realtà stati generati da un corpo celeste comune.
In particolare secondo questa ipotesi, detta Giant Impact Hypothesis, l’astro che illumina da tempi immemori le nostre notti sembra si sia formato durante un impatto di un corpo celeste enorme contro il nostro pianeta. Da questo impatto si è formata dunque il nostro satellite, che successivamente a questo urto, ha iniziato a girare in orbita a una distanza media di circa 384.400 km dalla Terra.
Ma perché è vantaggioso e necessario estrarre risorse dalla Luna? La “speranza” dei ricercatori è quella di trovare nel suolo lunare terre rare e metalli preziosi come oro, titanio, e platino che potrebbero essere fondamentali per l’economia del nostro pianeta. Infatti, materiali come il titanio possono essere utilizzati nell’elettronica che già oggi si trova in carenza di materia prime.
Ma questi materiali non sono gli unici elementi che i ricercatori sperano di trovare. Gli scienziati ipotizzano che potrebbe essere possibile prelevare anche l’elio-3, ovvero un tipo di isotopo di elio particolarmente stabile, che potrebbe essere utilizzato nella produzione di energia nucleare. Questo elemento molto carente sulla Terra potrebbe invece essere enormemente presente nel nostro satellite.
Quanto è complesso però questo procedimento? L’estrazione di materiali minerari dalla Luna è un processo più complesso di quello che si potrebbe pensare. Secondo anche ciò che dichiara il ricercatore dell’Università dell’Arizona Moe Momayez, se un “prelievo” di questo tipo viene performato sulla Terra, allora può usufruire di enormi quantità di energia e di acqua. Infatti, per eseguire un’estrazione mineraria è necessaria una grande quantità di acqua per riuscire a rompere le rocce.
Purtroppo, sulla Luna non si potrà avere a disposizione né una quantità sufficiente di energia, né di acqua. Un’idea potrebbe essere quella di utilizzare delle esplosioni per poter rompere le rocce in campo lunare, ma le conseguenze e i risultati di questo procedimento non sono ancora noti ai ricercatori.
Dato che non risulta possibile poter performare delle esplosioni sulla Luna, l’idea che hanno proposto i ricercatori riguarda l’utilizzo di alcuni robot autonomi. I rover in questione dovrebbero essere programmati in primis ad eseguire le estrazioni minerarie sulla Terra per poi essere spediti sul nostro satellite.
Il software con il quale questi robot agiscono è stato sviluppato dal professore associato di ingegneria aerospaziale Jekan Thanga ed è basato sull’apprendimento neuromorfico. Tale tipo di sistema attraverso il quale verranno addestrati i primi robot è chiamato Human and Explainable Autonomous Robotic System, o HEART e sarà fondamentale nello sviluppo delle capacità di scavo e costruzione. Tale sistema è talmente avanzato che permetterà anche agli automi di potersi migliorare nel tempo, e questo potrebbe consentire di creare macchine in grado di operare “da sole” e senza bisogno delle istruzioni umane inviate a distanza.
A cura di Luisa Bizzotto