Per raggiungere lo spazio non basta sognare. Per vincere la gravità e arrivare anche alle più basse orbite terrestri è necessario un sistema propulsivo molto potente. Le forze in gioco sono molteplici, e così intense che moltissime soluzioni propulsive sono state sviluppate a questo proposito, di natura estremamente variegata. Tra queste la propulsione solida.
I veicoli utilizzati per permettere al carico di raggiungere lo spazio sono i cosiddetti lanciatori spaziali. Si tratta di missili che montano motori a razzo, e che sfruttano in genere una propulsione di tipo termico, elettrico o nucleare. Quelli storicamente più usati sono i lanciatori termici, in particolare quelli chimici.
Questi ultimi sfruttano i prodotti di una reazione chimica molto esoenergetica facendoli espandere in un ugello, accelerandoli fino a velocità supersoniche. Ciò avviene grazie alla particolare forma dell’ugello, che permette la conversione dell’elevata entalpia di reazione in energia cinetica.
Tra le diverse strategie e propellenti che si mettono in pratica, la più antica nonché una delle più usate è la propulsione a propellente solido. Essa è impiegata principalmente per i booster, i motori di apogeo, e in campo militare.
I razzi a propellente solido, a differenza di quello liquido che necessita di serbatoi, presentano il combustibile già all’interno della camera di combustione. Esso si presenta in forma di grani con cristalli di esplosivo, pressati tra loro e amalgamati con del legante. Quest’ultimo consente al propellente di mantenersi strutturalmente attaccato alle pareti della camera, resistendo ad accelerazioni e vibrazioni. In caso contrario la loro frammentazione causerebbe aumenti di pressione e spinta nocivi strutturalmente.
I grani possono essere composti da nitrocellulosa e nitroglicerina, oppure da miscugli compositi di fluido organico e un sale cristallino inorganico. Il legante è tipicamente poliuretano o polibutadiene, mentre l’elemento ossidante necessario alla combustione è solitamente perclorato di ammonio. È necessario il controllo delle impurità, che se accelerate possono provocare usura all’interno dell’impianto.
L’accensione avviene attraverso un innesco pirotecnico o pirogeno, e non può essere fermata: la camera contiene già tutti gli elementi affinché la reazione avvenga. Perciò non è possibile impedire la reazione evitando per esempio l’invio di combustibile od ossidante da un serbatoio (come avviene invece per i propellenti liquidi). Nei motori più moderni si sono adottate però strategie per consentire lo spegnimento e la riaccensione, nonché la modifica della direzione della spinta.
La geometria del combustibile all’interno camera gioca un ruolo fondamentale nella distribuzione della spinta. Infatti, la parte del carburante esposto alla parte centrale della camera cambierà bruciando, e così la quantità che andrà incontro alla combustione. Riuscire a calcolare la geometria della combustione in ogni istante significa conoscere tutto l’andamento e la distribuzione della spinta. La non idealità della reazione di combustione causa però asimmetrie, che possono essere corrette dal sistema di controllo tramite attuatori.
L’innesco della combustione avviene riscaldando della polvere di esplosivo, di solito elettricamente. Essendo essa molto sensibile alla temperatura, si accende incendiando il propellente attorno a sé.
L’involucro che avvolge la zona combustiva deve essere realizzato in modo da resistere all’intensità degli eventi di reazione. Inoltre, è necessario proteggere la struttura esterna dall’intenso calore sviluppato: vi sono perciò strati di materiale sacrificale che si consumano al posto della struttura, detti ablativi. È una zona di elevata criticità, tanto che il cedimento di uno degli O-ring, guarnizioni che tengono unito l’involucro dei Booster dello Space Shuttle Challenger, ne ha provocato l’esplosione e la morte di sette astronauti.
L’ugello è l’ultimo componente ad essere attraversato, nonché quello a generare effettivamente la spinta. Si tratta di una struttura di forma prima convergente poi divergente, così costruita per accelerare i gas di scarico in vari regimi fluidodinamici: subsonico nel tratto convergente, sonico nella “gola” tra i due, e supersonico nel tratto divergente.
Per quanto riguarda le prestazioni della propulsione solida, uno dei parametri di valutazione dei sistemi propulsivi con endoreattori è l’impulso specifico. Si tratta di una grandezza che esprime l’impulso totale fornito all’accensione normalizzato sul peso di carburante utilizzato. Se confrontato con la propulsione a propellente liquido, il solido ha un impulso minore, 260 s contro i 310 del cugino chimico.
Ma se non si tratta del più potente, perché il propellente solido è ancora utilizzato? Si tratta di un propellente poco costoso, molto affidabile e non richiede serbatoi o sistemi di raffreddamento criogenici come il propellente liquido. Il suo utilizzo principale è sui booster, che costituiscono la prima fase della partenza di un lanciatore. Storico è l’utilizzo dello Solid Rocket Booster, usato per accelerare lo Space Shuttle nei primi stadi del decollo, uno dei propulsori più potenti realizzati. Un ulteriore utilizzo frequente è sui motori di apogeo, che consentono ai veicoli spaziali di modificare efficacemente la propria orbita.
A cura di Luigi Marchese