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Endoreattori a propellente ibrido: una promessa per il futuro

Quante volte ci siamo chiesti cosa genera tutta la potenza caratteristica dei lanciatori spaziali? Scopriamo in questo articolo quali sono gli attori coinvolti in una simile e poderosa combustione, e analizziamo quali sono le peculiarità della meno impiegata tecnologia ibrida: gli endoreattori a propellente ibrido.

Endoreattori a propellente chimico, liquido o solido

Gli endoreattori generalmente sfruttano propellenti liquidi o solidi, pertanto essi avranno caratteristiche distinte a seconda della fase in cui si trovano combustibile e ossidante. L’architettura a propellente liquido è largamente utilizzata, essa garantisce prestazioni ottime in termini di impulso specifico, consente la modulazione della spinta, è caratterizzata da maggior complessità e perciò da costi elevati. Questa famiglia di razzi sfrutta combustibile ed ossidante allo stato liquido opportunamente conservati in serbatoi, ai quali sono connessi dei sistemi di alimentazione che portano il propellente verso la camera di spinta.

Invece, l’architettura a propellente solido genera tipicamente prestazioni inferiori, non consente la regolazione della spinta né tantomeno la riaccensione del propulsore. Tuttavia, possiede dei vantaggi cruciali quali: semplicità costruttiva, basso costo e grande affidabilità. Infatti, in questo caso non vi sono serbatoi o sistemi di alimentazione dedicati, il propellente consiste in un grano solido direttamente inserito nel case del motore nel quale avverrà la combustione. La preparazione del grano costituisce una fase fondamentale in quanto deve rispondere a diversi requisiti chimico-fisici. Esso consiste in una miscela eterogenea di combustibile (un composto di tipo asfalto) ed ossidante (solitamente clorato di potassio, ammonio nitrato o ammonio perclorato) con aggiunta di altre sostanze come catalizzatori e antiossidanti.

Tali caratteristiche rendono i motori a propellente solido adatti alla realizzazione di razzi ausiliari (strap on boosters), ultimi stadi per manovra di trasferimento orbitale (apogee kick motor), missili tattici e sistemi per l’avvio dei motori a propellente liquido e per la pressurizzazione dei serbatoi. Dunque, risulta abbastanza chiaro perché sia comune trovare dei vettori di lancio dotati di razzi ausiliari a propellente solido e di stadi centrali (primo stadio, sustainer stage) a propellente liquido, come accade per Ariane 5, Atlas V o per il classico Space Shuttle. Tuttavia, ciò non costituisce una regola, infatti troviamo anche vettori di lancio con boosters a propellente liquido oppure vettori con primi stadi a propellente solido, come accade rispettivamente per Falcon Heavy e Vega.

Endoreattori a propellente ibrido e relativi vantaggi

A differenza dei classici sistemi propulsivi, un razzo a propellente ibrido utilizza combustibile e ossidante conservati in diverse fasi, tipicamente il primo in fase solida ed il secondo in fase liquida. Nella figura seguente è riportato un esempio di architettura di endoreattore a propellente ibrido alimentato con ossigeno liquido e grano di HTPB.

Esempio di booster a propellente ibrido LOX/HTPB, capace di sostenere la fase di lancio dello Space Shuttle

In tal caso l’ossigeno liquido viene iniettato in una camera di pre-combustione o di vaporizzazione che si trova a monte del grano di combustibile principale. Il grano può essere ottenuto per estrusione o per colata direttamente nel case motore, un accenditore viene usato per vaporizzare una prima parte del combustibile, successivamente con l’inizio della combustione tra combustibile e ossidante iniettato il processo si autosostiene.

Dallo schema riportato in precedenza, possiamo notare la semplicità dal punto di vista meccanico rispetto alla famiglia degli endoreattori a propellente liquido. Infatti, in questo caso abbiamo un solo sistema di alimentazione a turbopompe (per il propellente in fase liquida) e conseguentemente dei sistemi di iniezione e controllo più semplici. Peraltro, si ottiene una riduzione del rischio di incendio, una densità del propellente maggiore che diventa cruciale in termini di frazione di massa di propellente e di sezione frontale dell’insieme motore, delle prestazioni ottime in alcuni casi confrontabili con quelle dei rocket a propellente liquido.

Per quanto riguarda le prestazioni occorre specificare che il combustibile più comune è il HTPB (hydroxyl-terminated polybutadiene), un liquido particolarmente viscoso le cui proprietà fisiche vengono modellate mediante processo di cura, ottenendo un combustibile con ottime proprietà meccaniche utilizzabile come legante all’interno del grano. Esso è solitamente utilizzato insieme al perclorato d’ammonio e per migliorare le performance vengono aggiunte nel grano delle polveri metalliche (come alluminio o magnesio), dalle dimensioni di pochi micrometri, in grado di influenzare la velocità di combustione. Per quanto riguarda l’ossidante, l’ossigeno liquido nel caso dell’applicazione ibrida possiede diversi svantaggi.

Oltre alla nota caratteristica criogenica, esso richiederebbe un dispositivo di ignizione pirotecnico che a sua volta eliminerebbe la capacità di riaccensione del motore. Inoltre, diversi esperimenti hanno mostrato che una vaporizzazione incompleta dell’ossigeno può pericolosamente intensificare le instabilità di combustione. Pertanto, occorre virare verso ossidanti liquidi alternativi come ossido di diazoto e perossido d’idrogeno. Il primo è di tipo criogenico ma ha una temperatura critica superiore che permette la conservazione in fase liquida a temperatura ambiente. Il secondo, oltre a generare prodotti di decomposizione non tossici, è in grado di decomporsi cataliticamente e termicamente generando temperature nettamente superiori a quelle necessarie per l’ignizione dei combustibili polimerici. Dalla seguente tabella è possibile realizzare come le prestazioni tipiche di un rocket ibrido siano comparabili con quelle di un endoreattore a bipropellenti liquidi classico alimentato con ossigeno liquido e RP1.

I vantaggi degli endoreattori ibridi rispetto alla tecnologia basata su propellente solido includono una preparazione del grano di combustibile più semplice dal punto di vista chimico e meno pericolosa, capacità di fermare la combustione e di riprenderla agendo sulla valvola dell’ossidante, abilità di modulare la spinta all’interno di un range molto ampio, e rischio di esplosione ridotto.

Ebbene, tale particolare tipologia di endoreattori è come se cercasse di combinare i punti di forza delle architetture classiche dei motori a razzo, prendendo la modulabilità e la controllabilità della combustione dai propellenti liquidi, sfruttando l’affidabilità e il basso costo dai propellenti solidi, il tutto mantenendo delle performance ottime.

Le problematiche della tecnologia ibrida

Nonostante grossolanamente l’architettura dell’endoreattore a propellente ibrido si avvicini a quella del razzo a propellente solido, il processo di combustione è differente e più complesso. Nei classici motori a propellente chimico, sia nel caso liquido che in quello solido, il controllo del rapporto di miscela (mixture ratio O/F) nella zona di combustione può essere effettuato accuratamente. Nel primo caso controllando le relative portate di propellente inviate in camera, nel secondo caso progettando opportunamente la composizione del grano solido.

Nel caso degli endoreattori a propellente ibrido il controllo del rapporto di miscela è più complicato. Infatti, la zona di combustione sarà costituita da diversi layer, ognuno dei quali caratterizzato da diverse sostanze con varie proprietà chimiche. Nello specifico, come schematizzato nella figura successiva, troviamo: un volume occupato dal grano di combustibile solido, uno strato di combustibile vaporizzato che si forma subito sopra la superficie del grano e che oscura il grano stesso, una sottile zona di combustione generata dal corretto rapporto di miscela locale tra combustibile ed ossidante vaporizzato iniettato, un layer occupato dai prodotti di combustione e, allontanandoci dalla superficie del grano avremo una zona interessata solamente da ossidante vaporizzato.

Chiaramente, muovendoci radialmente ed assialmente all’interno di queste zone, troveremo alcuni ambienti caratterizzati da combustione ricca ed altri con combustione povera. Per garantire un processo di combustione corretto negli endoreattori a propellente ibrido, prima che i gas incombusti finiscano nell’ugello, si fa in modo di terminare il grano solido in anticipo, lasciando un ampio volume vuoto che agisce come camera post-combustore. In tale zona, si creano ampi vortici che miscelano i vapori rimanenti e permettono il completamento della combustione.

endoreattori propellente ibrido

A causa di questo meccanismo complesso e della presenza di questi layer, il processo di combustione è relativamente lento. Infatti, il combustibile deve essere vaporizzato e miscelato con l’ossidante prima che il tutto possa avere inizio. In particolare, il problema nasce dalla limitata portata di massa e dal basso tasso di regressione del grano solido, circa pari ad un terzo del tasso tipico di un endoreattore a propellente solido. Per poter aumentare la velocità di recessione della superficie del grano si cerca di aumentare la superficie esposta a combustione.

Per ottenere ciò si utilizza una configurazione del grano a multi-porte, quindi caratterizzato da diversi fori paralleli che attraversano lo stesso. Questo accorgimento permette di ottimizzare la portata di massa dell’endoreattore. Tuttavia, introduce ulteriori difficoltà. Una configurazione a grano multi-perforato implica densità volumetrica ridotta e maggior diametro del velivolo a parità di massa, produzione del grano in segmenti e necessità di sistemi di supporto per lo stesso. Infine, occorre mantenere lo stesso tasso di combustione e la stessa pressione all’interno delle varie porte per scongiurare pericolose instabilità. Queste complicazioni costituiscono degli ostacoli notevoli per lo sviluppo e la crescita di questa tecnologia.

Per quanto riguarda le instabilità di combustione, il motore ibrido è interessato da due tipologie di instabilità:

  • Instabilità a bassa frequenza, 7.5 Hz, indotta dal sistema di alimentazione dell’ossidante. Si verificano delle pericolose oscillazioni, periodiche e di elevata ampiezza, della pressione di combustione, che possono generare fenomeni distruttivi causa forte rilascio di energia. Si tratta delle instabilità denominate chugging, lo stesso fenomeno che riguardò i boosters del primo e secondo stadio del Saturn V durante la missione Apollo XIII. Queste oscillazioni vengono eliminate irrigidendo i sistemi di alimentazione e iniezione, quindi aumentando la caduta di pressione attraverso gli iniettori e eliminando le sorgenti di comprimibilità all’interno dell’impianto dell’ossidante.
  • Instabilità di combustione ad alta frequenza, indotta da problematiche relative alla tenuta della fiamma. Per eliminare tale problematica si cerca di stabilizzare la fiamma nel boundary layer, per fare ciò è possibile sfruttare una fiamma pilota ausiliaria generata da un combustibile liquido (come idrogeno o propano) oppure cambiare il campo di flusso dell’iniettore assicurandosi di ottenere una zona di ricircolo dei gas caldi a monte del grano solido. La seconda è una soluzione similare a quella adottata nei post-combustori aeronautici o nei ramjets a combustibile solido per prevenire il cosiddetto blowoff.

Vi è un ulteriore svantaggio caratteristico dei razzi a propellente ibrido, anche questo collegato alla limitata velocità di regressione del grano. Tra le fortune di questa tecnologia avevamo citato la possibilità di modulare la spinta erogata dal rocket all’interno di un ampio range, tuttavia, per ottenere questa funzionalità occorre agire sul rapporto di miscela e quindi sulla velocità dell’ossidante. Modificando quest’ultimo parametro otteniamo che impulso specifico ed efficienza del motore variano sensibilmente durante il periodo operativo. Peraltro, la variazione dei parametri appena citati può andare a intensificare il deposito di residuo incombusto all’interno della camera di combustione, riducendo lievemente la frazione di massa dello spacecraft.

Ultimo ma non meno importante fattore da considerare, è la mancanza di utilizzo e test su larga scala di questo sistema propulsivo. Infatti, non possiamo pensare di comparare il livello di sviluppo della tecnologia ibrida con quello delle tecnologie solida e liquida. Inevitabilmente le più importanti imprese aerospaziali preferiscono applicare soluzione esistenti e consolidate da maggior tempo, il che è sinonimo generalmente di maggiore affidabilità del sistema.

La promessa per il futuro

Gli endoreattori a propellente ibrido oggi non costituisce una tecnologia matura per grandi lanciatori. Questa soluzione richiede la cooperazione di due diverse tecniche, la propulsione solida e quella liquida. Proprio per questo, un sistema simile sarebbe in grado di offrire diversi vantaggi importanti rispetto alle tecnologie classiche, come ad esempio: migliori prestazioni, sicurezza durante le fasi di lavorazione, test e conservazione, costi significativamente inferiori, minor impatto ambientale, elevata affidabilità, capacità stop-restart, modulabilità della spinta del vettore.

Un esempio di applicazione degli endoreattori a propellente ibrido è costituito dal velivolo suborbitale Space Ship Two (SS2). Tale spazioplano della Scaled Composites è equipaggiato con un motore ibrido Rocket Motor Two il quale utilizza e HTPB e ossido di diazoto come propellenti. La famosa compagnia Virgin Galactic sta lavorando per poter utilizzare questo velivolo in applicazioni di turismo spaziale suborbitale, in particolare la missione prevede che la SS2 venga portata in quota dal velivolo madre White Knight Two per poi distaccarsi ed avviare la fase di propulsione autonoma.

Nonostante oggi siano stati completati diversi voli sperimentali, la progettazione e lo sviluppo di questo velivolo hanno dovuto affrontare diverse difficoltà tecniche, tra cui ad esempio delle instabilità di combustione che persistevano nei primi secondi di operazione del motore e che hanno più volte portato la compagnia a riflettere sui propellenti più adatti. Queste stesse difficoltà testimoniano la complessità derivante dall’idea di voler integrare la tecnologia della propulsione liquida con quella solida.

endoreattori propellente ibrido
Primo esemplare di endoreattore a propellente ibrido RM2 ad aver portato la SS2 in volo suborbitale il 13 dicembre 2018, successivamente donato dalla compagnia di Richard Branson al National Air and Space Museum di Washington DC.

È evidente che gli endoreattori propellente a ibrido suscitano notevole interesse e attrazione. Un sistema propulsivo del genere potrebbe trovare applicazione specialmente negli ultimi stadi dei lanciatori oppure nei sistemi di controllo e manutenzione dell’orbita dei satelliti. Tuttavia, come accennato in precedenza, la tecnologia ibrida si troverebbe a competere da un lato con i motori a bipropellenti liquidi che garantiscono le performance migliori del mercato, dall’altro lato con la tecnologia a propellente solido ben consolidata per la realizzazione di booster ed in particolare nell’industria militare. O chissà, anche con la tecnologia nucleare.

Dunque, la promessa per il futuro è quella di continuare la ricerca in questo ambito, trovare un nuovo combustibile con un tasso di regressione almeno 5 volte più grande di quello assicurato dalla combustione tra LOX e HTPB, così da permettere finalmente a questa intrigante tecnologia di affermarsi in qualche settore della propulsione spaziale.

Articolo a cura di Michele Fragnelli