Spazio affollato: il problema dei rifiuti spaziali e come affrontarlo
Il lancio del primo satellite russo Sputnik nel 1957 ha dato inizio all’era spaziale che da quel momento in poi non si è più fermata. Con il passare degli anni, le agenzie spaziali hanno lanciato migliaia di razzi e messo in orbita numerosi satelliti. Tutto questo è stato un processo necessario per aumentare la nostra conoscenza dello spazio e del nostro pianeta; tuttavia, ha contribuito ad “affollare” lo spazio con stadi propulsivi dei razzi che, successivamente, sono rimasti in orbita o con satelliti non più funzionanti. Dei veri e propri rifiuti spaziali.
Come se non bastasse, anche elementi più piccoli, come bulloni o scaglie di vernice, possono causare possibili collisioni con satelliti in uso. Salvaguardare l’ecologia dello spazio rappresenta, quindi, un problema molto centrale nello sviluppo e nella determinazione delle nuove missioni, in quanto le orbite attorno alla Terra si sono riempite di quella che è definita ormai come spazzatura spaziale.
Utilizzando principalmente radar a terra, telescopi ottici e sensori spaziali si è riuscito a fare una stima dell’affollamento in orbita dei rifiuti spaziali; ad esempio, le stime aggiornate al 2019 dell’Agenzia Spaziale Europea, prevedono che sono oltre 8400 le tonnellate di oggetti spaziali in orbita terrestre.
A questo bisogna aggiungere altri milioni di oggetti di dimensioni minori o uguali di 1 cm, i quali, nonostante le piccole dimensioni, possono causare gravi danni alle strutture e ai sistemi dei satelliti funzionanti; in particolare, per questo tipo di detriti, è attualmente ancora complicato effettuare una catalogazione completa.
Come ripulire l’orbita dai rifiuti spaziali?
Gran parte dei rifiuti spaziali si trovano in orbita LEO (Low Earth Orbit) che si estende da 300 fino a 1000 km di quota; una prima soluzione che si usa è quella di spostare il satellite poco prima della fine della sua vita operativa su un’orbita geostazionaria, quota di 36000 km o maggiore, liberando le orbite basse per il lancio di futuri satelliti. Altre possibili soluzioni, finora solo ipotizzate, prevedono un vero e proprio recupero dei detriti grazie all’utilizzo di satelliti con braccia robotiche, in grado di catturare questi resti in disuso e di deorbitarli.
Un’altra interessante tecnica sviluppata dal Centro Aerospaziale Tedesco (DLR), chiamata Laser-based removal, prevede l’utilizzo di fasci di laser ad alta intensità. L’idea consiste nel colpire i detriti con un laser così da trasferire un momento meccanico che verrà sfruttato per deviare il detrito dalla sua traiettoria; adottando questo principio il detrito colpito riduce la sua velocità orbitale e di conseguenza può rientrare in atmosfera e disintegrarsi.
Rilevazione e tracciamento dei detriti in orbita
Dal momento che queste tecniche sono complesse dal punto di vista realizzativo oltre che costose, diventa necessario usufruire di un programma o di un database che quantomeno consenta il monitoraggio costante degli oggetti in orbita. L’Orbital Debris Program Office (ODPO) è uno dei primi database, sviluppato dalla NASA nel 1979; esso sfrutta un modello di propagazione dei detriti chiamato Legend, che serve a ricostruire in tempo reale le traiettorie di veicoli spaziali attivi e non attivi e di componenti di satelliti, in funzione della loro altitudine, latitudine, e longitudine.
Un sistema più recente è stato progettato dalla società statunitense Space Fence (Lockheed Martin); questo sistema sfrutta un radar a onde ad alta frequenza capace di tracciare oggetti inferiori ai 5 cm in orbita LEO. Questo ci consente di aumentare la sicurezza dei satelliti operativi in questo tipo di orbite. Il sistema di antenne che controlla i detriti è installato sulla Kwajalein Island e verrà affiancato, entro il 2021, da un secondo sistema in Australia.
Anche le altre grandi agenzie stanno affrontando questo problema. L’ESA ha un progetto, OMAR (On-orbit Manufacturing Assembly and Recycling), che prevede di raccogliere i detriti e riutilizzarli per la creazione o modifica di nuove strutture. Il concetto di produzione e assemblaggio utilizzando componenti presenti già in orbita, quindi, potrebbe essere una possibile soluzione per il riciclaggio di oggetti nello spazio.
Visto il grande numero di satelliti lanciati dal 1957 ad oggi dalle maggiori agenzie e aggiungendo l’enorme contributo all’esplorazione spaziale di agenzie come SpaceX, risulta ormai indispensabile trovare un modo di mantenere lo spazio il più pulito possibile.
A cura di Antonio Minutillo.