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Hayabusa 2 e Ryugu: gli albori del sistema solare

Hayabusa 2, la cui traduzione letterale in italiano è Falco Pellegrino, è una missione dell’Agenzia Spaziale Giapponese JAXA, lanciata a bordo di un razzo H-IIA il 3 dicembre 2014.

Partenza della sonda. Credits: Focus.

La missione, composta da una sonda madre e tanti piccoli rover e lander, è molto importante: ci permetterà infatti di indagare meglio sulle origini della vita così come la conosciamo.

L’obiettivo scelto per adempiere a questo compito è l’asteroide Ryugu, con classe spettrale C, cioè di tipo carbonioso, scoperto nel 1999 e situato nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove.

La storia dietro Hayabusa 2

Le idee alla base di questa missione provengono dalla precedente Hayabusa 1, la prima missione in assoluto a raccogliere del materiale dalla superficie di un asteroide, Itokawa, e riportarlo a Terra.

Ma questa missione fu caratterizzata da molti problemi, e causò non pochi grattacapi agli scienziati. Fin da subito infatti, un bagliore solare mandò fuoriuso uno dei quattro motori agli ioni di cui era provvista la sonda. Inoltre, prima di arrivare a destinazione, si ruppero due ruote di reazione, utilizzate a bordo di sonde e satelliti per il controllo dell’assetto.

Hayabusa 1. Credits: Wikipedia.

Arrivata a destinazione, furono eseguiti vari test e prove di atterraggio. Uno degli obiettivi della missione era quello di lanciare il lander Minerva, ma fallì, mancando la superficie e facendo disperdere il lander nello spazio profondo.

Ci furono in seguito altri problemi, come la rottura di un altro motore agli ioni e la perdita di comunicazioni per diverse settimane durante il ritorno verso la Terra.

Nonostante tutto, la sonda riuscì a riportare a casa diverso materiale prelevato dalla superficie dell’asteroide Itokawa.

Sulla base di tutti questi avvenimenti, gli scienziati giapponesi iniziarono a lavorare al seguito della missione, Hayabusa 2 appunto, consci dei problemi da evitare assolutamente.

Caratteristiche della sonda

Molte delle scelte progettuali effettuate per la costruzione di questa sonda si basano sull’idea del prevenire tutti i problemi che hanno caratterizzato la precedente missione.

La sonda è veramente piccola: misura 1.0 × 1.6 × 1.25 m e pesa 600kg, di cui 100kg solo il carburante. Con i panelli solari completamente aperti, raggiunge i 6 m.

Una grande modifica effettuata, rispetto a Hayabusa 1, è l’utilizzo di 2 antenne più piccole ad alto guadagno invece di una sola molto più grande. Questo permette di dividere i compiti, di diminuire il peso, e inoltre permette di avere a disposizione due bande di comunicazione diverse, la banda X e la banda Ka.

Hayabusa 2. Credits: JAXA.

Per muoversi, la sonda sfrutta un sistema di propulsione ionico, già utilizzato in missioni precedenti come Dawn della NASA. In questo caso, il sistema di propulsione genera ben 28 mN di spinta: sembra poco, ma in realtà si riesce ad ottenere un ottimo Delta-V. Abbiamo quindi un totale di 4 propulsori ionici, di cui 3 veramente utilizzati: il quarto è di riserva nel caso in cui si dovessero presentare problemi.

La sonda è dotata inoltre di 12 propulsori chimici ad idrazina, in grado di fornire 20 N di spinta per le manovre di correzione di rotta e soprattuto per le manovre di avvicinamento all’asteroide, durante le operazioni di prelievo dei campioni dalla superficie.

Motori agli Ioni della Hayabusa 2. Credits: JAXA.

Per orientarsi vengono utilizzate 4 ruote di reazione e, per prevenire eventuali rotture come successe con la precedente missione, gli ingegneri han ben pensato di utilizzarne una sola e sfruttare la pressione del Sole, che in genere è proprio ciò contro cui si combatte, per mantere l’orientamento. Una strategia simile fu applicata per Kepler della NASA, e ciò permise di prolungare la durata della missione stessa.

Un lander e tre rover a bordo della sonda

La sonda porta con sè ben tre rover e un lander. Il lander MASCOT, sviluppato dall’agenzia tedesca DLR e dal CNES, è sviluppato basandosi su studi effettuati con il lander Philae della sonda Rosetta.

È un cubo di circa 10 kg, che contiene una moltitudine di strumenti scientifici e, per mancanza di spazio, non ha dei pannelli solari con sè: ha una batteria da 220 Wh che dovrebbe permettergli una durata complessiva che varia tra le 10 ore alle 16 ore, dipende dalle condizioni ambientali a cui verrà sottoposto.

Lander MASCOT. Credits: INAF.

I rover Minerva invece sono 3 hopper. I primi 2 hopper, indicati con 1A e 1B, sono dei cilindri da 1 Kg circa, e dispongono di sensori di movimento, pannelli solari e delle piccole camere. Quest’ultime serviranno per un’osservazione diretta della superficie, aiutando a scegliere il luogo di atterraggio della sonda.

Hopper 1A e B. Credits: JAXA.

Il terzo hooper invece, conosciuto come hooper 2, ha gli stessi strumenti dei primi due hopper, ma in più dispone di due camere stereo che permetteranno di creare immagini 3D della superficie.

Ma la componente più importante è sicuramente la capsula che ritornerà a Terra, portando con sè non solo il materiale presente sulla superficie, ma anche i gas nobili che circondano l’asteroide stesso.

Rapprestazione del rientro della capsula. Credits: INAF.

Perchè una missione di questo tipo?

Gli asteroidi e le comete sono come delle piccole capsule del tempo, risalenti agli albori del sistema solare, quando i pianeti erano ancora in fase di formazione.

Ombra della sonda sulla superficie dell’asteroide. Credits: JAXA.

Si pensa che su Ryugu vi sia acqua e materia organica. Gli scienziati sperano infatti che, dentro questo antico e piccolo mondo, ci siano gli elementi che componevano il Sistema Solare agli inizi della sua formazioni.

La missione ci aiuterà a comprendere meglio l’origine della vita e a confermare o meno l’idea secondo cui la vita ha origine dagli asteroidi.