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Trovato un frammento dello Space Shuttle Challenger a largo della Florida

A distanza di quasi 37 anni dal disastro, è stato scoperto un altro frammento dello Space Shuttle Challenger nelle acque oceaniche vicino alle coste orientali della Florida. L’ultima missione Challenger, soprannominata STS-51L, partì il 28 gennaio 1986 ma il razzo esplose pochi secondi dopo il lancio a causa di una serie di eventi concatenati che segnarono il destino dei membri dell’equipaggio.

Il nuovo frammento dello Space Shuttle Challenger

Space Shuttle Challenger
Frammento dello Space Shuttle Challenger. Credits: History Channel

Il frammento è stato ritrovato da una troupe televisiva di History Channel mentre ricercavano il relitto di un aereo risalente alla Seconda guerra mondiale. I leader della NASA hanno recentemente osservato il filmato dell’immersione subacquea e hanno confermano che si tratti di un artefatto appartenente allo Space Shuttle Challenger.

I subacquei hanno notato un grande oggetto parzialmente coperto dalla sabbia sul fondo del mare. La vicinanza alla Space Coast della Florida, insieme alla costruzione moderna dell’oggetto e alla presenza di piastrelle quadrate da 8 pollici (circa 20 centimetri), ha portato il team del documentario a contattare la NASA.

Per il pubblico sarà possibile osservare il momento in cui viene scoperto il pezzo del Challenger poiché verrà mostrato nella puntata dedicata al relitto della Seconda Guerra Mondiale, del 22 novembre prossimo. La NASA tiene a specificare che nonostante questa puntata faccia parte di una serie sul Triangolo delle Bermuda, il frammento dello Space Shuttle è stato trovato nelle acque al largo della Space Coast della Florida, a nord-ovest dalla famosa zona. La NASA sta attualmente valutando quali ulteriori azioni potrebbe intraprendere riguardo al frammento che onorerà adeguatamente l’eredità degli astronauti caduti e delle famiglie che li hanno amati.

Per legge, tutti i manufatti dello Space Shuttle sono di proprietà del governo degli Stati Uniti. I membri del pubblico che ritengono di aver incontrato manufatti dello space shuttle dovrebbero contattare la NASA all’indirizzo ksc-public-inquiries@mail.nasa.gov per organizzare la restituzione degli articoli.

L’ultima missione del Challenger

L’ultima missione Challenger è stata comandata da Francis R. “Dick” Scobee e pilotata da Michael J. Smith. Gli altri membri dell’equipaggio a bordo erano gli specialisti della missione Ronald E. McNair; Ellison S. Onizuka e Judith A. Resnik; specialista del carico utile Gregory B. Jarvis; e l’insegnante S. Christa McAuliffe, la prima passeggera civile verso lo spazio, il cui scopo era fare delle lezioni di scienza in orbita all’interno dello Space Shuttle Challenger.

La data del lancio della missione fu rimandata più volte per via delle condizioni meteo sfavorevoli. Infatti, un’ondata di freddo insolita per la Flroida, aveva colpito la penisola in quei giorni. I direttori di volo scelsero di non rimandare dell’altro il giorno, scegliendo il 28 poiché un’ulteriore slittamente avrebbe causato la chiusura della finestra di lancio per la messa in orbita di due sonde.

Durante le prime indagini, e dopo aver osservato attentamente il video del lancio, i tecnici scoprirono che c’era stata una distruzione delle guarnizioni di gomma, gli “O-ring”, prima del decollo. Una giuntura in uno dei due booster si ruppe e causò, al momento dell’accensione, un’enorme sollecitazione sugli O-ring, che non resistettero poiché a causa del freddo avevano completamente perso resilienza.

Il fenomeno sulla perdita di resilienza fu mostrato dal premio Nobel per la fisica Richard Feynman che insieme a Neil Armstrong, primo uomo sulla Luna, Chuck Yeager, primo uomo a superare il muro del suono e altri tecnici e scienziati, formarono la commissione per ricercare le cause del disastro.

Frammento laterale sinistro esposto al Kennedy Space Center Visitor Complex. Credits: Heidi Garcia – Close-up Engineering

Dell’ossido d’alluminio sigillò quasi istantaneamente la perdita di fumo mascherando il guasto. Una volta in volo, però, lo shuttle subì un fortissimo wind shear, o rapida e forte variazione della direzione e intensità del vento, che causò la rottura della saldatura fatta dall’alluminio. Esplodeva, così, una delle macchine più grandiose fatta dall’uomo. Gli astronauti a bordo non morirono durante l’esplosione: si pensa che sia stato l’impatto con l’oceano a porre fine alla loro vita.

“Sebbene siano trascorsi quasi 37 anni da quando sette audaci e coraggiosi esploratori persero la vita a bordo del Challenger, questa tragedia rimarrà per sempre impressa nella memoria collettiva del nostro Paese. Per milioni di persone in tutto il mondo, me compreso, il 28 gennaio 1986 sembra ancora ieri”, ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson, che prosegue: “Questa scoperta ci offre l’opportunità di fermarci ancora una volta, di elevare l’eredità dei sette pionieri che abbiamo perso e di riflettere su come questa tragedia ci ha cambiato. Alla NASA, il valore fondamentale della sicurezza è – e deve rimanere per sempre – la nostra massima priorità, soprattutto perché le nostre missioni esplorano più cosmo che mai”.