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Subrahmanyan Chandrasekhar: il fisico che ha scoperto il limite di stabilità delle nane bianche

Subrahmanyan Chandrasekhar (1910-1995) nacque il 19 ottobre a Lahore, allora in India, ma che oggi fa parte del Pakistan. Studiò fisica all’Università di Madras, laureandosi nel 1930. Mentre all’Università studiava un programma di fisica piuttosto antiquato, apprese da sé la nuova fisica quantistica, leggendo gli articoli di Niels Bohr, Werner Heisenberg ed Erwin Schrödinger pubblicati sui periodici scientifici in dotazione alla biblioteca universitaria, oltre al libro di Arnold Sommerfeld, “Atombau und Spektrallinien”.

Il viaggio verso l’Europa di Subrahmanyan Chandrasekhar

Due articoli di ricerca pubblicati mentre era ancora studente gli valsero una borsa di studio per l’Inghilterra. Così, nella calda estate del 1930, Chandra (il nome con cui era solito presentarsi) si ritrovò su una nave che lo trasportava in Europa. Quell’agosto parecchie tempeste infuriarono nel mare Arabico, costringendo i passeggeri e l’equipaggio a restare sottocoperta.

Tuttavia, quando Chandra si imbarcò un mese prima, aveva davanti a sé settimane di navigazione tranquilla, parecchi fogli di carta e l’abitudine ereditata dalla famiglia di non perdere tempo inutilmente. Ironia della sorte, in ciò fu favorito dal razzismo latente tra i cittadini britannici: Chandra era un ragazzo dalla pelle scura e benché i ragazzi bianchi volessero coinvolgerlo nei loro giochi, a cui peraltro avrebbe partecipato volentieri, i genitori li allontanavano immediatamente da lui.

Le sue scoperte

Seduto per tutto il tempo sul ponte della nave, iniziò a pensare agli oggetti che riempivano il cielo e fu uno dei primi ad avere intuizioni geniali e originali al riguardo. Utilizzando le sue nozioni di fisica quantistica, eseguì alcuni calcoli, dai quali risultò che una nana bianca poteva essere stabile solo se aveva una massa inferiore a circa 1,44 masse solari.

Qualunque stella che, al termine della sua evoluzione, avesse avuto una massa maggiore di questa (oggi nota come limite di Chandrasekhar), avrebbe subìto un collasso inarrestabile, trasformandosi in uno degli oggetti che noi oggi chiamiamo buchi neri. Il risultato ottenuto da Chandrasekhar non fu considerato particolarmente importante dal suo supervisore a Cambridge, Ralph Fowler, ma il giovane studente ricercatore indiano non si perse d’animo e riuscì a farlo pubblicare nell’Astrophysical Journal nel 1931.

Subrahmanyan Chandrasekhar: il Premio Nobel

Nel 1983 ricevette il premio Nobel per la Fisica sia per i suoi studi più recenti sui buchi neri sia per la sua ricerca più importante, sulla stabilità delle nane bianche, dal momento che i calcoli da lui effettuati sulla nave che lo portava in Inghilterra avevano ormai trovato ampia conferma. Sebbene fra una nana bianca e un buco nero esista uno stadio intermedio (una stella di neutroni), Chandrasekhar non si era sbagliato, allora, nell’affermare che una stella morta di massa superiore a 1,44 masse solari era condannata ad un collasso senza fine.

Nel 1935, in un convegno della Royal Astronomical Society, l’idea che stelle vecchie di massa superiore al limite di Chandrasekhar fossero condannate ad un collasso inarrestabile venne ridicolizzata da Sir Arthur Eddington. Anche in conseguenza di questo conflitto, nel 1936 Chandrasekhar lasciò Cambridge per l’Università di Chicago, avendo deciso “che non c’era alcun vantaggio a lottare per tutto il tempo, per sostenere che io avevo ragione e tutti gli altri torto. Avrei scritto un libro, esprimendovi le mie opinioni, e poi avrei messo da parte l’argomento”. Fedele a questa decisione, scrisse il libro (“An Introduction to the Study of Stellar Structure”) e passò poi ad altri argomenti, secondo un’impostazione generale che avrebbe seguito per tutta la vita: dedicava ogni volta vari anni ad una particolare area di ricerca, scriveva un libro sull’argomento e poi passava ad altro.

P. S. Il contrasto avuto con Eddington negli anni Trenta non gli impedì di dedicare un affettuoso necrologio al grande astronomo, che descrisse come “il più eminente astrofisico del suo tempo”.

Un telescopio porta il suo nome

L’Osservatorio a Raggi X Chandra (CXO), in passato noto come Advanced X-ray Astrophysics Facility (AXAF), è un telescopio spaziale di classe Flagship lanciato dalla NASA con lo Space Shuttle Columbia il 23 luglio 1999. Il nome del telescopio omaggia il nsotro astrofisico indo-americano e premio Nobel Subrahmanyan Chandrasekhar. Questo telescopio, con una sensibilità ai raggi X cento volte superiore rispetto ai predecessori, grazie all’alta risoluzione angolare dei suoi specchi, può rilevare fonti estremamente tenui. A causa dell’assorbimento dei raggi X da parte dell’atmosfera terrestre, osservazioni di questo tipo sono possibili solo tramite telescopi spaziali. Chandra orbita attorno alla Terra ogni 64 ore e la sua missione è ancora attiva nel 2023.

Chandra appartiene alla famiglia dei Grandi Osservatori, insieme al Telescopio Spaziale Hubble, all’Osservatorio a Raggi Gamma Compton (1991–2000) e al Telescopio Spaziale Spitzer (2003–2020). La sua missione ha paralleli con quella della navicella XMM-Newton dell’ESA, lanciata anch’essa nel 1999. Tuttavia, Chandra si distingue per una maggiore risoluzione angolare, mentre XMM-Newton per un throughput spettroscopico superiore.