La storia di come la mamma di Jack Black salvò gli astronauti dell’Apollo 13
Una storia che ha dell’incredibile quella che riguarda Judith Love Cohen! Una donna ingegnere della NASA che durante le missioni Apollo, lavorava ad un particolare sistema di salvataggio. In quel periodo era incinta e, proprio mentre stava partorendo, le si accese la lampadina e riuscì a risolvere un problema che la affliggeva da mesi. Proprio grazie a quell’intuizione su un sistema di sicurezza, l’equipaggio dell’Apollo 13 riuscì a salvarsi. Ora, molti si chiederanno chi sia questa donna, ma se non conoscete lei, molto più probabilmente conoscerete il figlio che nacque quel giorno: l’attore Jack Black! Questa, dunque, è la storia di come la mamma di Jack Black salvò gli astronauti dell’Apollo 13.
Judith Love Cohen: chi era la mamma di Jack Black e come arrivò a lavorare per la missione Apollo 13
La carriera di Judith Love Cohen inizia nel 1952 nella North American Aviation, ma la sua passione per le materie scientifiche ha radici più profonde. Fin da piccola è stata appassionata di matematica, così, decide d’intraprendere la carriera d’ingegnere. Studia duramente e riesce a prendere due lauree alla USC Viterbi School of Engineering. Successivamente, ha affermato che durante quegli anni non ha mai incontrato un’altra studentessa donna.
Dopo la laurea comincia a lavorare per lo Space Technology Laboratories, divenuto poi TRW, contribuendo a varie tecnologie, come il Minuteman missile e l’Abort-Guidance System. Proprio quest’ultimo sistema era integrato nella missione Apollo 13 e permise agli astronauti di salvarsi dopo i malfunzionamenti del razzo su cui viaggiavano.
Un sistema di così vitale importanza, però, non fu di facile progettazione per gli ingegneri che vi lavoravano, tra cui la Cohen. Fu proprio che lei che il 28 agosto 1969, trovò la soluzione al problema mentre dava alla luce il futuro protagonista di School of Rock. Immaginate la scena: una donna in pieno travaglio che si dimena tra scartoffie varie e telefonate con la NASA. Tutto questo, sotto gli occhi increduli dei medici, ignari del fatto che quella era la mamma di Jack Black e, grazie al suo lavoro, avrebbe salvato gli astronauti dell’Apollo 13. Storia vera! Successivamente va in pensione, comincia a scrivere libri per bambini e muore nel 2016.
Mamma di Jack Black, ingegnere donna dell’Apollo 13 e promotrice delle donne nella scienza
Dopo aver lavorato per molti anni come ingegnere, nel 1990, Judith Love Cohen decide di andare in pensione. Ma non si ferma e comincia a scrivere libri per bambine, con lo scopo di abbattere i pregiudizi e di invogliare le giovani donne ad intraprendere carriere nel mondo STEM. Lei è stata una delle prime donne ingegneri a lavorare per la NASA e, non solo come donna, ma come persona ha dato dimostrazione del suo impegno, diventando un esempio per molti.
La Cohen ha scritto due serie di libri: “You can be a women…”, che incita le bambine a trovare la loro strada nei campi scientifici, e “Green” che educa i bambini a delle buona pratiche ecologiche. Il libro “You Can Be a Woman Engineer” ha venduto centinaia di migliaia di copie e, così, Judith ha partecipato a vari seminari e ha offerto corsi destinati a giovani ragazze. Grazie al suo impegno, noi oggi vediamo in lei, non solo la mamma di Jack Black che salvò gli astronauti dell’Apollo 13, ma anche un’ispirazione e modello per tutte le generazioni future. È, anche, grazie alla sua storia e alla sua dedizione che oggi, donne come Samantha Cristoforetti lavorano ed eccellono in campo scientifico.
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Abort-Guidance System: il sistema con cui la mamma di Jack Black salvò gli astronauti dell’Apollo 13
Cosa poteva essere così importante da doverci lavorare anche durante il parto, tra doglie e dolori? L’Abort-Guidance System (AGS) era un sistema informatico di backup che interveniva in caso d’interruzione della missione, per un guasto al sistema di guida principale (PGNCS). L’AGS era un sistema totalmente separato dall’Apollo Guidance Computer (AGC), computer principale delle missioni Apollo, con un’architettura, un software e comandi differenti. Era posto nel modulo lunare (LM) e doveva entrare in azione in caso di un guasto, interrompendo l’atterraggio e riportando il LM al Command Module.
Questo sistema usava un computer MARCO 4418 (Man Rated Computer) che richiedeva circa 90 watt di potenza e aveva una memoria più piccola dell’AGC. Il software, invece, è stato scritto in linguaggio assembly LEMAP ed utilizza 27 istruzioni. Ogni ciclo di calcolo durava 2 secondi ed era diviso in 100 segmenti. Durante questi calcoli, il sistema analizzava e controllava i sistemi del modulo e, dopo, aggiornava le informazioni.
Questo sistema era, dunque, fondamentale in caso di aborto dell’atterraggio, però, non venne mai usato per questo scopo. Fortunatamente, infatti, non è mai stato necessario interrompere un atterraggio delle missioni Apollo. In ogni caso, l’AGS è stato utile in quattro diverse situazioni, tra cui proprio la missione Apollo 13. Infatti, grazie al contributo di Judith Love Cohen, mamma di Jack Black, l’equipaggio dell’Apollo 13 riuscì a salvarsi.
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Cosa successe all’Apollo 13? Come si salvarono gli astronauti?
Forse furono proprio le emozioni del parto, forse fu soltanto una coincidenza, fatto sta che quel giorno Judith, mentre diventava la mamma di Jack Black, ebbe un’intuizione che salvò gli astronauti dell’Apollo 13. Ma cosa accadde nel dettaglio? Come riuscì l’Abort-Guidance System a salvare la vita dell’equipaggio?
Gli obiettivi principali dell’Apollo 13 erano di atterrare sulla Luna e avviare varie indagini e ricerche scientifiche. I membri dell’equipaggio erano il capitano James Arthur Lovell, il pilota del modulo di comando John Leonard “Jack” Swigert e il pilota del modulo lunare Fred Wallace Haise.
L’Apollo 13 partì l’11 aprile 1970 alle 19:13 GMT dal Kennedy Space Center con l’obiettivo di raggiungere la Luna. Circa 56 ore dopo il decollo, sulla navicella si verificò un grave problema: un serbatoio dell’ossigeno esplose. “Houston, abbiamo un problema!”. L’esplosione, oltre alla perdita dei serbatoi d’ossigeno necessari per il rientro, danneggiò anche la struttura. La situazione si fece complicata e, ovviamente, si interruppe la missione.
L’obiettivo, ora, era riportare gli astronauti a casa sani e salvi. Così, decisero di fare un giro attorno alla Luna e ritornare sulla Terra a bordo del modulo lunare. Il modulo lunare, però, era pensato per ospitare due persone per due giorni e non tre persone per quattro giorni. Le forniture di acqua ed energia erano limitate, inoltre, il sistema primario di guida necessitava di troppa acqua per il raffreddamento. Di conseguenza, si decise di usare proprio il sistema AGS per gran parte del rientro. Così, il duro lavoro di Judith Love Cohen e degli altri specialisti, riuscì a salvare la vita agli astronauti dell’Apollo 13.