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SPLICE: il nuovo sistema della NASA per atterraggi su corpi celesti

Categorie Agenzie spaziali · Missioni spaziali · Satelliti e Lander
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L’atterraggio su un corpo celeste è una fase molto critica di una missione spaziale. Spesso e volentieri il sito d’atterraggio si può trovare in prossimità di ostacoli pericolosi, come rocce o crateri, non sempre individuabili con largo anticipo. Al tempo stesso, è vero che buona parte dei luoghi interessanti da studiare si trovano in ambienti decisamente inospitali, all’interno del nostro sistema solare; per evitare che questo ponga delle limitazioni alla ricerca spaziale, l’obiettivo della NASA, per le future missioni verso la Luna (Artemis) o Marte, è quello di utilizzare le tecnologie del progetto SPLICE (Safe and Precise Landing – Integrated Capabilities Evolution).

SPLICE è un nuovo sistema di atterraggio automatico, così sicuro e preciso da permettere l’atterraggio in siti impervi, come regioni vicine ai crateri ombreggiati; luoghi inaccessibili, per esempio, alle missioni Apollo. Il sistema è attualmente in fase di sviluppo, ma la NASA è già a buon punto con il progetto: l’agenzia spaziale americana ha comunicato ufficialmente che a breve la tecnologia sarà testata in occasione di uno dei prossimi voli del lanciatore sub-orbitale New Shepard, della compagnia Blue Origin.

Com’è fatto SPLICE?

SPLICE è un sistema articolato che nasce dalla combinazione di sensori laser, algoritmi avanzati, telecamere e un computer ad alte prestazioni.

Nello specifico, SPLICE è costituito da:

NDL (Navigation Doppler Lidar)

È un dispositivo contenente una scatola elettronica, connessa tramite fibra ottica a tre telescopi. 

NDL (navigation doppler lidar instrument). Credits: NASA.

Il funzionamento dell’NDL è analogo a quello dei comuni radar, con l’unica differenza che sono usate delle onde luminose, piuttosto che le classiche onde radio. Durante l’atterraggio L’NDL manda fasci laser verso la superficie. I telescopi, montati con angolature specifiche, catturano le riflessioni dei fasci laser. Processando i dati raccolti dai telescopi, ovvero lunghezza d’onda e tempo di trasmissione del fascio, è possibile stimare la quota e la velocità del lander.

Questo tipo di tecnologia è molto accurata sulla Terra. Adesso, l’obiettivo è capire se sulle superfici lunari o di Marte si possano ottenere gli stessi livelli di accuratezza; in effetti, per esempio su superfici meno riflettenti, il segnale riflesso potrebbe essere più debole, di quello ottenibile sulla terra. Farzin Amzajerdian, il co-inventore della tecnologia, tuttavia, confida nell’accuratezza del dispositivo, che utilizza lunghezze d’onda molto più piccole di quelle tipiche delle onde radio e quindi risulta essere molto più accurato, a prescindere dalla superficie riflettente.

TRN (Terrain relative navigation)

Il TRN è composto da una telecamera, che cattura immagini della superficie in tempo reale. Le immagini vengono poi confrontate con un database di fotografie, ottenute tramite osservazione orbitale del pianeta, per stimare la posizione dello spacecraft.

Funzionamento TRN: confronto delle immagini real-time con mappe note della superficie.
Credits: NASA.

Hazard Detection Lidar (HDL)

L’HDL ha l’obiettivo di individuare potenziali pericoli per l’atterraggio: pendii ripidi, crateri, grandi rocce. Il dispositivo sfrutta un laser per scansionare la superficie ed elaborare una mappa 3D della zona di atterraggio.

Descent and Landing Computer (DLC)

Il DLC è il cervello dell’intero sistema di atterraggio. Consiste in un computer dotato di un processore multicore ad alte performance che ha il compito di processare tutte le informazioni raccolte dai vari sensori, al fine di determinare velocità, altitudine e possibili pericoli sul sito. Permette, inoltre, la gestione e la sincronizzazione dei vari strumenti che compongono SPLICE.

    Figure 3: Hardware di SPLICE in fase di preparazione per un test in una camera a vuoto. Credits: NASA.

L’utilizzo del DLC permette di processare velocemente i dati relativi all’atterraggio, senza sovraccaricare il primary flight computer dello spacecraft, che svolge tutte le altre funzioni richieste.

Come funziona SPLICE?

A ogni strumento che compone SPLICE è affidato un compito specifico, da portare a termine in una precisa fase dell’atterraggio. Per far sì che il sistema possa eseguire un atterraggio automatico preciso è necessario che tutti i sottosistemi, sotto la supervisione del DLC, siano in grado di agire in maniera sinergica. Ma, durante un atterraggio lunare, in che modo le diverse tecnologie che compongono SPLICE lavorano insieme?

Sistema NASA SPLICE
Concept of operations di SPLICE. Credits: “Next-Generation NASA Hazard Detection System Development”, C. Restrepo, Po-Ting Chen, R. Sostaric, J.   Carson.

Ad una distanza di circa 15 Km dalla superficie lunare, lo spacecraft inizia la fase di discesa ed i propulsori si accendono, per permettere una discesa controllata. Il primo strumento a essere immediatamente attivato è il TRN. La telecamera fornisce le prime immagini della superficie. Grazie all’impiego di mappe note della superficie lunare è possibile stimare la posizione relativa. Successivamente, sempre grazie alla consultazione delle mappe preinstallate, vengono automaticamente scartati i siti pericolosi. Al contrario, il sistema seleziona i siti idonei all’atterraggio, privilegiando quelli di maggiore interesse scientifico.

A una distanza minore dei 10 km viene attivato l’NDL, con cui, tramite l’impiego di fasci laser, sono stimate la velocità e l’altitudine. Questo permette di aumentare l’efficacia e la precisione degli algoritmi eseguiti dal DLC. Nella fase finale della discesa il lander assume una posizione verticale rispetto alla superficie lunare. A circa 500 m dalla superficie viene attivato l’HDL, che permette di elaborare una mappa 3D (DEM) di circa 50 m di raggio, all’interno della quale vengono evidenziati i possibili ostacoli. Utilizzando le informazioni ottenute viene scelto il luogo finale dell’atterraggio all’interno dell’area mappata dall’HDL e vengono effettuate le manovre finali.

SPLICE sulle auto a guida autonoma

Come spesso accade nel mondo aerospaziale, le potenzialità delle tecnologie del progetto SPLICE sono state velocemente individuate dal settore commerciale, in particolare da quello automobilistico. Il sensore laser NDL è in grado di stimare velocità e distanza di oggetti lontani. Secondo Farzin Amzajerdian, lo stesso inventore della tecnologia, questa caratteristica rende l’NDL molto utile se applicato al trasposto terrestre del futuro, per esempio installandolo sulle macchine a guida autonoma.

Steve Sandford, ex direttore tecnico del Langley Research Center della NASA, ha fondato la società “Psionic LLC” e tra gli obiettivi si è posto quello di rendere economica la produzione delle tecnologie di SPLICE, per renderne possibile un’applicazione in linea con i costi del trasposto terrestre. A tal proposito, L’azienda ha sviluppato un proprio lidar, analogo all’NDL. 

Anche altre aziende hanno iniziato a sviluppare la tecnologia ad hoc per le auto a guida autonoma, con applicazioni sia per la navigazione, sia all’interno del sistema di collision avoidance. Una delle limitazioni dei fasci laser è quella di non poter oltrepassare ostacoli fisici densi, come oggetti solidi o nebbia fitta. Tuttavia, anche in caso di foschia, il laser garantisce un dettaglio superiore alla vista umana. Inoltre, offre il vantaggio di essere poco esposto a fenomeni di interferenza.

Illustrazione funzionamento sensori lidar su autovettura a guida autonoma. 
Credits: LeddarTech.

Per via delle alte performance la tecnologia lidar si rende interessante anche all’interno dell’industria aeronautica; infatti, nel caso in cui su un aeromobile il segnale GPS fosse inutilizzabile, l’NDL potrebbe fornire velocità, altitudine e direzione. Il lidar ha, inoltre, il vantaggio di indicare posizione e velocità relativamente al terreno e non rispetto a un sistema di riferimento universale, come accade nel sistema GPS.

SPLICE promette di portare l’esplorazione spaziale ad un livello più alto. Nel frattempo, la modernità delle sue tecnologie sta iniziando a trovare posto nelle applicazioni quotidiane, qui sulla terra.

A cura di Francesco Gerbino.

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