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Ricerca di vita extraterrestre: cosa stiamo sbagliando

La ricerca di vita extraterrestre cerca di dare una risposta a una domanda che attanaglia l’essere umano da sempre: l’uomo è solo nell’universo? Oppure là fuori ci sono esseri viventi, magari perfino intelligenti, che abitano su altri pianeti o satelliti? Certo, è difficile dare delle risposte certe, ma è altrettanto vero che prima di trovarle è opportuno sapere come muoversi dopo aver formulato la domanda. E, se guardiamo bene, potremo notare che in realtà le nostre ricerche sono viziate da una visione molto limitata delle cose. Cerchiamo quindi di unire tutti i puntini del disegno e capire meglio la questione.

La vita come (non) la conosciamo

Iniziamo ammettendo una cosa che forse non tutti hanno notato: l’uomo sta cercando forme di vita aliene sostanzialmente perché si sente solo. Cerchiamo vita là fuori perché vorremmo trovare qualcun altro con cui comunicare. Certo, siamo curiosi per natura e vogliamo conoscere tutto ciò che si può conoscere, ma il pensiero che l’essere umano sia l’unico essere vivente nell’universo ci angoscia terribilmente. Sembra che, cercando forme di vita al di fuori della Terra, l’uomo stia cercando una cura alle sue crisi esistenziali. Da qui arriviamo alla prima grande fallacia logica: noi non stiamo cercando la vita nell’universo, bensì la vita come la conosciamo. Cosa si intende con questa espressione?

Detto semplicemente, noi abbiamo esaminato le condizioni in cui la vita è nata e si è sviluppata sul nostro pianeta, le abbiamo prese e ci siamo convinti che la vita (o quantomeno quella intelligente) possa esistere quasi esclusivamente su pianeti che presentano queste caratteristiche: presenza di acqua liquida, ossigeno, carbonio, un’atmosfera e un campo magnetico in grado di proteggere il pianeta dalle radiazioni della stella e altro ancora, il tutto all’interno della cosiddetta “zona abitabile” del sistema stellare. Ed è proprio per questo che gli studi sui pianeti extrasolari si concentrano maggiormente su corpi celesti di questo tipo: basti pensare a come vengono presentate le notizie riguardanti scoperte di pianeti “gemelli” della Terra sui social media, spesso con titoli discutibili e conclusioni fin troppo affrettate  Anche il concetto di Indice di similarità terrestre (ESI) è frutto della visione antropocentrica della vita, dato che si tratta di una misura per stabilire quanto un pianeta è fisicamente simile alla Terra (e quindi abitabile come il nostro).

La posizione all’interno della cosiddetta “zona abitabile” (in verde) è uno dei criteri attualmente utilizzati per stabilire l’abitabilità di un pianeta. Credits: NASA/Kepler Mission/Dana Berry

Europa, Encelado, Titano e Venere

La vita, in realtà, potrebbe svilupparsi anche in altre condizioni: pensiamo ad esempio ai satelliti Europa ed Encelado: gli studi suggeriscono che sotto le loro superfici ghiacciate si trovino degli oceani di acqua liquida. Se si dovesse scoprire la presenza di organismi viventi in questi oceani, arriveremmo alla conclusione che la vita può svilupparsi anche al di fuori della zona abitabile di un sistema stellare. La vita potrebbe perfino svilupparsi in liquidi diversi dall’acqua o in un altro stato della materia: basti pensare ai mari di idrocarburi di Titano, i quali hanno attirato l’attenzione degli studiosi negli ultimi anni. Una scoperta di questo tipo cambierebbe certamente le carte in tavola e ci porterebbe a rivedere i criteri con cui stabilire l’abitabilità di un corpo celeste. La vita potrebbe svilupparsi in modi completamente diversi da quelli che conosciamo, ma per ora ne sappiamo ancora troppo poco.

Europa, satellite di Giove. Sotto la sua superficie potrebbe esserci un oceano in grado di ospitare forme di vita. Credits: Nasa/Jpl-Caltech/Seti Institute

Alieni simili a noi… o forse no

Siamo soliti pensare che gli extraterrestri ci assomiglino e possano comunicare con noi con tecnologie simili alle nostre. Se inviamo un segnale radio nel cosmo ci aspettiamo che prima o poi arriverà una risposta. Non a caso, negli anni 70 abbiamo trasmesso nello spazio il messaggio di Arecibo e inviato le sonde Voyager verso i confini del nostro sistema solare. Certo, imprese di questo tipo sono più da vedere come qualcosa di simbolico che un vero e proprio tentativo di comunicare con una civiltà aliena, ma, in ogni caso, anche qui troviamo il bias antropocentrico.

Prendiamo ad esempio le Voyager: sulle due sonde è stato inserito un disco per grammofono, il Voyager Golden Record, contenente informazioni di ogni tipo sulla nostra civiltà per un possibile futuro ritrovamento da parte di una forma di vita aliena o umana. Ci sono anche delle “istruzioni” per poterlo far funzionare e trovare la posizione del nostro sistema solare.

Un’idea molto suggestiva, ma c’è un piccolo problema: le “istruzioni” sul disco richiedono la conoscenza del tempo di transizione tra i due stati dell’atomo di idrogeno e del codice binario per poter far funzionare il grammofono che si trova sulla sonda. Dopodiché, chi lo ritroverà potrà vedere diverse foto riguardanti il nostro mondo e ascoltare una serie di saluti in diverse lingue, suoni e brani musicali. In pratica abbiamo dato per scontato che gli extraterrestri abbiano una neurobiologia, dei sensi e delle unità di misura uguali ai nostri, che abbiano un udito simile a quello umano per ascoltare le tracce audio e degli occhi per vedere le foto. Non ci siamo posti minimamente il dubbio che loro potessero avere dei sensi completamente diversi o altri modi di intendere la realtà. Abbiamo ideato quel messaggio come se fosse indirizzato ad altri esseri umani con una cultura diversa dalla nostra, ma non a degli alieni.

Il Voyager Golden Record. Credits: NASA/JPL-Caltech

Sia chiaro, l’idea che gli extraterrestri possano avere sensi simili ai nostri è possibile, ma piuttosto improbabile. Per capirlo meglio pensiamo alle varie forme di vita sul nostro pianeta. Noi sappiamo che tutti gli esseri viventi sulla Terra discendono dallo stesso antenato e hanno quindi una percentuale di DNA in comune. Nonostante però questa “parentela”, è molto difficile riuscire a far comunicare un essere umano con, ad esempio, un albero o una medusa. Eppure, si tratta di esseri viventi che abitano sullo stesso pianeta e che discendono da un antenato in comune. Possiamo quindi immaginare quanto potrebbero essere diverse eventuali forme di vita originatesi su un pianeta a decine o centinaia di anni luce dalla Terra, con un’evoluzione completamente diversa rispetto alle specie del nostro pianeta. Anche se si trattasse di un pianeta “gemello” della Terra, perfino una differenza minima cambierebbe completamente le cose.

Di conseguenza, anche il concetto stesso di “vita intelligente” deriva dalla nostra visione antropocentrica, dato che da una parte il concetto di intelligenza è puramente soggettivo (è limitato, cioè, all’idea che gli umani hanno dell’intelligenza), mentre dall’altra, il cervello e i sensi a questo collegati si sono sviluppati sulla base delle condizioni biochimiche del nostro pianeta, che sono diverse da quelle di ogni eventuale corpo celeste potenzialmente abitabile.

Allo stesso modo, anche l’idea che eventuali forme di vita intelligenti mandino segnali radio o costruiscano navicelle spaziali come noi deriva da tale visione, dato che queste tecnologie si basano sul livello di conoscenza e di intendere il mondo degli umani, e quindi sui nostri sensi: la matematica da cui derivano le nostre tecnologie, infatti, è un linguaggio inventato dall’uomo sulla base dei suoi sensi e del suo modo di ragionare per descrivere l’universo. Gli alieni potrebbero avere una fisionomia, dei sensi e dei modi di intendere la realtà che noi neanche possiamo immaginare.

L’illusione di essere cercati dagli extraterrestri

L’idea che gli alieni siano alla ricerca del nostro pianeta a bordo di sofisticate navicelle spaziali fa parte del nostro immaginario collettivo. E se non fosse così? Credits: Marc Ward/Stocktrek Images via Getty Images

Nel 1950 Enrico Fermi si chiedeva: “Dove sono tutti quanti?”, introducendo il suo celebre paradosso. Se gli alieni esistono, perché non riusciamo a trovarli e ad entrare in contatto con loro? La questione è in realtà molto più complessa di quanto pensiamo. Fermo restando che ancora non sappiamo quante sono le probabilità che la vita intelligente si possa sviluppare nell’universo , noi amiamo credere che gli alieni siano in cerca di altre forme di vita esattamente come noi, e che prima o poi, dopo tanti tentativi, ci sarà un contatto fra due civiltà.

Supponiamo che da qualche parte nella nostra galassia esista davvero una civiltà aliena incredibilmente avanzata, capace di costruire navicelle in grado di raggiungere qualsiasi pianeta in poco tempo (sempre secondo l’improbabile ipotesi che questi esseri siano biologicamente simili a noi). Siamo davvero sicuri che questi alieni così intelligenti siano desiderosi di comunicare con delle grosse scimmie che a malapena riescono a raggiungere il pianeta più vicino al loro? Insomma, probabilmente non starebbero neanche a perdere tempo con esseri tanto inferiori e limitati. Non avrebbero ragione di comunicare con noi. Oppure potrebbero averci già studiato da tempo senza che noi ce ne accorgessimo, un po’ come fanno gli scienziati quando analizzano delle cellule al microscopio.

Dobbiamo anche ricordarci che il desiderio di esplorare l’universo e il progresso tecnologico sono caratteristiche tipiche dell’evoluzione umana, e non è affatto detto che tali caratteristiche siano presenti anche in eventuali forme di vita aliene. Non dobbiamo commettere l’errore di credere che certe tappe della nostra evoluzione siano obbligatorie per tutti gli esseri viventi dotati di intelligenza. Gli alieni potrebbero aver avuto un’evoluzione completamente diversa e sviluppato caratteristiche totalmente estranee alla nostra comprensione. Potrebbero non provare minimamente il desiderio di raggiungere altri pianeti, indirizzando invece la loro intelligenza verso altri obiettivi. In altre parole, non è detto che gli alieni stiano vagando nel cosmo alla ricerca di vita esattamente come facciamo noi.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma bisogna capire che la ricerca di vita extraterrestre richiede non solo un ampliamento delle nostre prospettive, ma anche una certa umiltà nel riconoscere i limiti della nostra comprensione. Dobbiamo abbandonare l’antropocentrismo e accettare l’incertezza, comprendendo che le forme di vita e le intelligenze nell’universo potrebbero essere tanto diverse da noi da sfidare la nostra immaginazione. Solo così potremo sperare di cogliere veramente l’essenza dell’infinita diversità cosmica che ci circonda.

A cura di Michele Melillo