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Il leggendario X-15 e il labile confine della linea di Karman

Il leggendario North American X-15, uno degli X-planes del programma di ricerca di volo NASA. Esemplare conservato presso lo Smithsonian National Air and Space Musem. Crediti: Smithsonian NASM.

Il leggendario X-15, uno degli X-planes del programma di ricerca di volo NASA. Esemplare conservato presso lo Smithsonian National Air and Space Musem. Crediti: Smithsonian NASM.

Il leggendario velivolo North American X-15 fa parte dei famosi X-planes della NASA (a quel tempo NACA) progettati per affrontare programmi di ricerca di volo innovativi, come ad esempio nell’ambito del volo ad alte velocità e alta quota. X-15 è stato uno dei velivoli che ha permesso di ottenere importanti risultati scientifici riguardo il volo supersonico e ipersonico. Le scoperte scaturite dalle sue attività di volo divennero poi fondamentali per i programmi Mercury, Apollo e Shuttle.

Gli X-Planes per i programmi di ricerca di volo NASA

Tra tali velivoli sperimentali abbiamo circa 50 velivoli diversi per caratteristiche e prestazioni, alcuni dei quali hanno poi avuto la possibilità effettuare numerose ore di volo, altri invece non sono potuti mai essere realizzati. Nonostante la non corretta dicitura X-Planes, tra i cinquanta esemplari abbiamo una incredibile eterogeneità di mezzi aerei: aeroplani, spazioplani, elicotteri, convertiplani, alianti, e vettori. Il primo dell’elenco è il Bell X-1 denominato Glamorous Glennis in seguito al suo volo da record registrato nel 1947. Infatti, in quella occasione capitan Chuck Yeager ruppe il muro del suono per la prima volta nella storia dopo un volo a più di 1100 km/h ad una quota di circa 14 km. Tra gli altri velivoli sperimentali più particolari ricordiamo anche il Northrop X-4, il Curtiss-Wright X-19, il Lockheed X-26.

Il velivolo storico Bell X-1 denominato Glamorous Glennis, primo a rompere il muro del suono. Crediti: Smithsonian National Air and Space Museum.
Il velivolo storico Bell X-1 denominato Glamorous Glennis, primo a rompere il muro del suono. Crediti: Smithsonian National Air and Space Museum.

Il primo Northrop venne sviluppato al fine di testare le caratteristiche dei velivoli sprovvisti di trave di coda orizzontale nel campo dell’alto subsonico. L’assenza di una superficie aerodinamica essenziale quale quella dello stabilizzatore orizzontale era evidente, specie durante i test di volo in campo transonico dove le instabilità si facevano più intense. Nonostante ciò il velivolo fu in grado di completare ben 102 test di volo senza riportare gravi danni. Il Curtiss X-19 nacque con l’obiettivo di dimostrare la praticabilità del concetto di convertiplano. Il velivolo era caratterizzato da quattro tilt-rotors, tuttavia non mostrò particolari risultati in quanto la sperimentazione si fermò dopo un primo incidente.

Infine, il Lockheed X-26 venne pensato per facilitare le fasi di addestramento di giovani piloti nei confronti dei fenomeni di accoppiamento rollio-imbardata. Nel caso della prima generazione X-26 consisteva in un aliante ad elevata apertura alare. Invece, lo sviluppo della seconda generazione richiese l’aggiunta di un piccolo propulsore ad elica necessario per condurre dei test di volo in Vietnam, utili a valutare le capacità stealth dell’aereo.

La progettazione del leggendario X-15

La progettazione dell’iconico X-15 costituisce una pietra miliare per l’ingegneria spaziale. Le soluzioni adottate dagli ingegneri della NACA hanno permesso di battere dei record incredibili sfruttando delle prestazioni che nessuno avrebbe mai immaginato in confronto alle tecnologie disponibili a quel tempo. Tra questi record sensazionali ricordiamo quello ottenuto con il volo numero 188 del 1967. In quella occasione, il pilota William Knight raggiunse la velocità più alta mai ottenuta, ovvero 7200 km/h e 6,7 volte superiore a quella del suono.

DAYTON, Ohio - North American X-15A-2 al National Museum of the United States Air Force. Crediti: U.S. Air Force photo.
DAYTON, Ohio – North American X-15A-2 al National Museum of the United States Air Force. Crediti: U.S. Air Force photo.

X-15 e la scelta del propulsore

Una delle prime sfide da affrontare per la definizione di questo X-plane era la progettazione del sistema propulsivo. Il programma di ricerca legato al X-15 era altamente ambizioso, tanto da portare quota e velocità di volo così in alto da avere grosse difficoltà nella scelta delle tecnologie propulsive. I vincoli di missione per l’X-15 richiedevano una spinta di circa 250 migliaia di Newton al livello del mare.

Alla ricerca di nuovi combustibili per andare in supersonico

Gli stringenti requisiti di spinta insieme all’impossibilità di utilizzare classici motori aeronautici air-breathing portarono a scegliere un propulsore dalla categoria dei rocket. La scelta dei propellenti fu particolarmente complessa. Tuttavia, il miglior compromesso tra impulso specifico, densità del combustibile, proprietà di raffreddamento motore (per il ciclo rigenerativo) portarono a scegliere ammoniaca e ossigeno liquido. L’impulso specifico ottenibile era di circa 295 s, mentre il prezzo da pagare era dato dall’elevata tossicità dell’ammoniaca, che era in grado di intaccare i metalli dell’X-15 anche dopo pochi voli.

X-15 in fase di atterraggio. Crediti: NASA.
X-15 in fase di atterraggio. Crediti: NASA.

Tra le altre caratteristiche il motore richiedeva anche capacità di regolazione della spinta e possibilità di riaccensione in volo. Tali abilità, totalmente nuove per il periodo storico, vennero garantite grazie all’utilizzo di un sistema di alimentazione esterno del propellente. Esso consisteva in un sistema di pompaggio monopropellente basato sulla decomposizione del perossido di idrogeno. Le reazioni di decomposizione di tale composto, infatti, generano un cosiddetto superheated vapour con temperature elevatissime, utili per generare la potenza richiesta dal sistema di alimentazione. Dunque, l’X-15 poteva contare su un motore mai visto prima, con caratteristiche del tutto innovative, si trattava del XLR-99 di Reaction Motors.

Un aeroplano con attuatori spaziali

Il ruolo del perossido di idrogeno non si limita all’impianto di pompaggio. Infatti, il memorabile X-15 aveva bisogno di un sistema di controllo dell’assetto una volta raggiunte le quote di servizio più elevate. Quindi, una volta che le superfici aerodinamiche divenivano inefficaci causa rarefazione dell’aria, ecco l’ingresso in campo dei thrusters a monopropellente (basati sempre su H2O2). Posizionati al tip delle ali e sotto naso e coda dell’X-15, tali attuatori permettevano al pilota di controllare l’assetto una volta che questi erano orami in grado di osservare la curvatura terrestre.

X-15 e una nuova aerodinamica

Come accennato, lo sviluppo di questo particolare velivolo sperimentale permise di studiare a fondo, forse per la prima volta, campi di velocità come quello ipersonico. Il lavoro condotto dagli ingegneri dell’epoca (primo volo anno 1959) non poté contare ciecamente sulla teoria fornita dai libri, in quanto questa non era ancora del tutto definita. Basti pensare ad esempio all’utilizzo di un corpo smussato (blunt body) in corrispondenza del naso della fusoliera, al fine di ottimizzare i coeffiecienti aerodinamici e la dissipazione del calore generato durante il volo ipersonico.

Vista frontale del naso del North American X-15 mostrando in dettaglio la presenza del corpo smussato (il cosidetto blunt body) utile in termini aerodinamici, contrariamente a quanto si pensava in quel periodo storico. Crediti: Smithsonian NASM.
Vista frontale del naso del North American X-15 mostrando in dettaglio la presenza del corpo smussato (il cosidetto blunt body) utile in termini aerodinamici, contrariamente a quanto si pensava in quel periodo storico. Crediti: Smithsonian NASM.

Per andare ipersonico ci vuole una superlega

Le temperature elevatissime generate dall’attrito aerodinamico richiesero l’utilizzo di un nuovo materiale. La lega Inconel-X, basata su Nichel, Cromo, e Ferro, garantiva resistenza a alte temperature, ossidazione e corrosione. Il calore generato dalle velocità ipersoniche fu qualcosa di non prevedibile. La struttura metallica era sottoposto a sovra-riscaldamenti locali in posizioni particolari a causa della generazione di onde d’urto. Ad esempio, la struttura circostante ai finestrini di prua, o alcune zone del bordo di attacco delle superfici portanti, erano sottoposte a temperature che mettevano a dura prova la missione dell’X-15. Ciò richiese l’utilizzo di parti in Titanio, oppure dove necessario, dell’aggiunta di patch in Inconel-X.

Vista posteriore del North American X-15, è possibile osservare in dettaglio l'ugello di uscita del Reaction Motor X-99, gli scarichi di uscita per le operazioni di jettison del propellente, la particolare geometria della trave di coda. Crediti: Smithsonian NASM.
Vista posteriore del North American X-15, è possibile osservare in dettaglio l’ugello di uscita del Reaction Motor X-99, gli scarichi di uscita per le operazioni di jettison del propellente, la particolare geometria della trave di coda. Crediti: Smithsonian NASM.

Guardando macroscopicamente le caratteristiche aerodinamiche dell’X-15, troviamo una trave di coda che si sviluppa anche nella zona inferiore alla fusoliera. Questa strategia venne usata per rispondere alla perdita di efficacia dello stabilizzatore verticale in condizioni di volo ad elevato angolo di attacco. Inoltre, proprio queste parti della trave di coda costituivano un ostacolo durante la fase di atterraggio. Infatti, il velivolo doveva atterrare sfruttando dei semplici pattini metallici, ciò portava l’estesa trave di cosa a toccare terra rovinosamente. Perciò, il pilota era tenuto ad espellere queste strutture prima del rientro a terra.

I voli al confine dell’atmosfera

Risulta difficile descrivere o etichettare un mezzo come l’X-15, con delle caratteristiche che gli permettono di operare come razzo, navicella spaziale, o come aliante. Queste particolari caratteristiche gli hanno permesso di condurre diversi test di volo in alta quota. Proprio come è accaduto al pilota Joseph Walker, il quale nell’estate del 1963 ha stabilito un altro record importante. L’astronauta statunitense condusse infatti 2 voli a bordo dell’X-15 (numeri 90 e 91) raggiungendo prima 106 e poi 108 km di altitudine. Di fatto, se Jurij Gagarin è il primo essere umano ad aver raggiunto lo spazio (Aprile 1961), Joseph Walker è il primo astronauta ad averlo raggiunto per 2 volte(!), pur essendo partito da Terra mediante decollo tradizionale.

Joseph Walker di fianco al North American X-15 su cui ha volato per ben 25 volte. E' lui il primo uomo a raggiungere lo spazio per 2 volte consecutive. Crediti: NASA.
Joseph Walker di fianco al North American X-15 su cui ha volato per ben 25 volte. E’ lui il primo uomo a raggiungere lo spazio per 2 volte consecutive. Crediti: NASA.

Neil Armstrong e i test sull’X-15

Dunque, le potenzialità dell’ X-15 e il suo legame con lo spazio sono così forti quasi da rendere la linea di Karman un po’ più sottile. Lo stesso Neil Armstrong, primo uomo sulla Luna, prima di diventare astronauta NASA ha condotto 7 test di volo sull’ X-15. Durante uno di questi voli, una volta raggiunta la quota prestabilita, il pilota ebbe diversi problemi con il rientro in atmosfera, per poi fortunatamente riuscire a controllare l’assetto e rientrare a Terra (vedi film con Ryan Goslin First Man).