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Geodinamo, elementi radioattivi e abitabilità dei pianeti rocciosi

Illustrazione delle linee di campo magnetico terrestre. Crediti: NASA

Illustrazione delle linee di campo magnetico terrestre. Crediti: NASA

Una delle peculiarità fondamentali del nostro Pianeta è il suo campo magnetico, né troppo debole né troppo intenso. Un campo dalla intensità necessaria a proteggere la superficie della Terra dalle particelle cariche del vento solare e delle radiazioni cosmiche. Se il campo magnetico non ci fosse, la vita, così com’è apparsa svanirebbe rapidamente. Oggi sappiamo che questo scudo è prodotto dai moti del ferro liquido, l’elemento più abbondante nel nucleo esterno della Terra, il quale determina il fenomeno della geodinamo.

In fisica, la teoria della geodinamo o dinamo planetaria, propone un meccanismo mediante il quale un corpo celeste genera un campo magnetico. Nello specifico la teoria descrive il processo attraverso cui un fluido rotante, convettivo ed elettricamente conduttivo può sostenere un campo magnetico lungo scale temporali astronomiche.

Illustrazione del campo magnetico terrestre che agisce da scudo contro l’azione del vento solare. Crediti: Earth.com
Illustrazione del campo magnetico terrestre che agisce da scudo contro l’azione del vento solare. Crediti: Earth.com

Recenti ricerche scientifiche pubblicate sull’Astrophysical Journal Letters e su Nature, potrebbero permetterci di fare notevoli passi in avanti nella comprensione del meccanismo della geodinamo e sulle relative implicazioni.

La geodinamo e l’effetto terrestre

Il nostro Pianeta si è formato dall’accumulo di polveri e gas che circondavano la protostella che avrebbe dato origine al Sole. In queste fasi gli elementi più pesanti, come il ferro, si aggregavano verso il nucleo di quello che sarebbe diventato un pianeta, mentre i più leggeri si distribuivano verso l’esterno, formando quella che sarebbe divenuta la superficie.

Mente il ferro andava a concentrarsi al centro della Terra, trascinava con sé anche alcuni elementi leggeri quali ossigeno, zolfo, carbonio e idrogeno, la cui presenza è stata confermata dai sismografi. Spesso la presenza e l’influenza di tali elementi è stata trascurata studiando il meccanismo della dinamo planetaria. Infatti, inizialmente si pensava che l’energia data dal calore del nucleo interno fosse sufficiente ad alimentare il ferro liquido e sostenere così il processo di generazione del campo magnetico.

Struttura interna caratteristica del pianeta Terra. Crediti: Focus.it
Struttura interna caratteristica del pianeta Terra. Crediti: Focus.it

Un nuovo studio, guidato da istituti di ricerca e università di Taiwan, aggiunge invece un tassello importante a questo scenario. Si ipotizza infatti che gli elementi più leggeri presenti nel nucleo esterno abbassino la soglia della temperatura necessaria a mantenere in moto il ferro liquido, e che, senza tali elementi, forse non si sarebbe mai innescato l’effetto geodinamo.

Nello specifico, i modelli analizzati nello studio hanno dimostrato che la presenza dell’8% di silice nel nucleo esterno sarebbe sufficiente per poter mantenere in attività la dinamo planetaria dall’inizio della storia terrestre sino ai giorni nostri. I prossimi studi concentreranno le loro risorse nel determinare anche l’influenza e il ruolo degli altri elementi leggeri, potendo così caratterizzare dettagliatamente la geodinamo.

Gli elementi radioattivi e la geodinamo

Il nucleo terrestre è ricco di elementi radioattivi quali potassio, torio, uranio. Ovviamente, anche questi giocano un ruolo cruciale nel fenomeno della dinamo planetaria. Infatti, essi sono in grado di guidare l’evoluzione termica di interi pianeti rocciosi su scale temporali astronomiche, grazie all’enorme quantità di calore prodotto.

Illustrazione del campo magnetico terrestre e della struttura interna del pianeta. Crediti: Google Images.
Illustrazione del campo magnetico terrestre e della struttura interna del pianeta. Crediti: Google Images.

Recentemente, un gruppo di scienziati dell’università californiana di Santa Cruz, ha potuto constatare una notevole variabilità della concentrazione di elementi pesanti come torio e uranio. Confrontando il mantello di pianeti rocciosi, di diversi sistemi stellari, è possibile osservare concentrazioni degli elementi citati che differiscono persino di un ordine di grandezza. Tale variabilità sarebbe legata all’unicità dei processi stellari che porta alla formazione degli elementi pesanti in questione.

Abitabilità dei pianeti rocciosi

Osservando queste differenti concentrazioni di elementi radioattivi, i ricercatori hanno potuto confrontare l’attività del nucleo di potenziali corpi celesti con quella che è l’attività tipica terrestre. In particolare, si evince che se il riscaldamento radiogeno fosse maggiore di quello della Terra, il pianeta non sarebbe in grado di sostenere stabilmente e permanentemente la dinamo planetaria. Questo poiché una buona parte di torio e uranio si disporrebbero nel mantello generando una quantità eccessiva di calore, il quale andrebbe a ostacolare la generazione dei moti convettivi. Peraltro, in questo scenario si otterrebbe un’attività vulcanica molto intensa che porterebbe a probabili eventi di estinzione di massa.

D’altra parte, se il riscaldamento radiogeno interno fosse minore di quello della Terra, il pianeta in questione risulterebbe privo di attività vulcaniche e conseguentemente geologicamente inattivo.

Dunque, questi studi mostrano la diversità e la complessità dei processi che determinano l’abitabilità di un pianeta. Lo scudo dato dal campo magnetico, una adeguata presenza di elementi radioattivi nel nucleo, una atmosfera dallo spessore e dalla composizione adatta, sono solo alcuni degli ingredienti ideali che ci permettono di vivere sulla madre Terra. Con i prossimi studi sarà sicuramente possibile approfondire i legami tra queste componenti ed essere in grado di comprendere le dinamiche di formazione ed evoluzione planetaria.