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Vogliamo vivere lontano dalla Terra, ma il nostro corpo no | La NASA avverte: “Faremo la fine dei topi”

Astronauti e topo

Astronauti nello Spazio e topo (Canva-Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

L’uomo potrebbe trasferirsi lontano dalla Terra? Ecco perché ci sono ancora numerosi passi da compiere prima che ciò avvenga 

La vita dei topi avviene generalmente confinata all’interno di gabbie, in modo che gli animali possano essere utilizzati come cavie da laboratorio, sui quali condurre esperimenti scientifici.

Gli stessi sono usualmente volti a valutare la reazione di determinati trattamenti rispetto alle patologie, monitorare il comportamento e le reazioni sotto stress, ma anche la genetica e non soltanto.

Se l’animale prescelto per tali sperimentazioni è proprio il topo, non si tratta certamente di un caso. E’ stato, infatti, scelto proprio il topo ato il suo genoma, profondamente simile a quello dell’uomo, che ricalca per il 98% circa.

La loro quotidianità si svolge prevalentemente all’interno di teche, dove oltre a lettiera, acqua e cibo non possono disporre di ulteriori stimoli, restando all’interno delle gabbie, in alcun casi, sino a non veder mai la luce del sole.

La reazione dell’ambiente spaziale sul corpo umano

Sappiamo già che il volo spaziale in microgravità produce effetti indubbiamente impattanti sul corpo umano e sulla salute generale dei soggetti. E considerando che generalmente gli astronauti sono chiamati a restare nello spazio per periodi di tempo prolungati, è inevitabile che gli stessi vadano incontro alla perdita di densità ossea, di massa muscolare, disturbi e alterazioni al sistema cerebrale, alla vista e non solo, restando soggetti ad una progressiva atrofia dei tessuti. L’uomo ha ancora numerosi passi da gigante da compiere in merito, specie ore quanto concerne la permanenza in orbita. Raggiungere un sufficiente equilibrio sarà possibile unicamente mediante esperimenti.

Recentemente si è concretizzato un esperimento condotto da alcuni ricercatori della Space Biosciences Division del NASA Ames Research Center, che ha inviato un gruppo di topi sulla Stazione Spaziale Internazionale al fine di evidenziare l’impatto dei viaggi spaziali sul sistema intero degli esseri viventi. Quando l’umanità compirà il definitivo passo di trasferimento verso altri pianeti della galassia, la stessa si troverà realmente preparata e pienamente in grado a sopravvivere alle condizioni estreme presenti sugli altri pianeti? Dare una domanda affermativa a tale risposta risulta realmente arduo, dunque molto passerà dai differenti esperimenti che verranno condotti da qui agli anni a venire. In questo contesto di inserisce proprio la sperimentazione guidata dal dottor Rukmani Cahill grazie all’impiego di topi.

Femore del topo
A sinistra gli effetti dello spazio sulle ossa dei topi (Cahill et al-PLoS ONE foto) – www.aerospacecue.it

I risultati della sperimentazione

Sulle ossa degli animaletti, rimasti per esattamente 37 giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, sono comparsi numerosissimi buchi, sino ad assistere alla perdita del midollo osseo e del tessuto spugnoso. In particolare, è stato evidenziato come a risultare maggiormente colpita dalle condizioni dello spazio fosse l’articolazione dell’anca, includendo il femore, sino al ginocchio, mentre altri settori ossei del corpo hanno mantenuto pressoché intatta sia la struttura ossea, sia la densità minerale. Gli scienziati hanno ipotizzato che questo fenomeno abbia riguardato soprattutto le zampe dei topi, in quanto è proprio sulle stesse che viene sorretto il peso del corpo, al contrario degli esseri umani, dove questo lavoro viene svolto anche dalla colonna vertebrale.

Non a caso la porzione lombare della colonna del corpo dei topolini è rimasta pressoché integra. Gli astronauti perdono circa l’1% di massa ossea mensilmente e anche se una volta rientrati a Terra l’osso avvia un progressivo percorso di riformazione, lo stesso generalmente possiede una microarchitettura profondamente differente.  Gli stessi scienziati hanno, inoltre, sottolineato come presumibilmente non siano le radiazioni le dirette responsabili della perdita ossea; questo perché la dissoluzione è avvenuta a partire dall’interno per poi espandersi verso l’esterno. Lo scrive Fanpage.it.