Schiaparelli, col suo trattato su Marte nel 1895, ha parlato per la prima volta di vita su Marte | Da quel momento tutti alla ricerca degli extraterrestri

Ritratto di Schiaparelli e Marte (Canva/Science Photo Gallery foto) - www.aerospacecue.it
Già due secoli fa si parlava di possibile presenza di forme di vita intelligenti su Marte. Ma ancora oggi il mistero resta irrisolto
Una delle principali domande che attanaglia l’uomo ormai da decine di centinaia di anni riguarda la possibilità che l’essere umano non rappresenti l’unica forma di vita intelligente presente nell’Universo.
La diffusione di questa ipotesi ha concesso di dare libero sfogo alla creatività dei più fantasiosi. C’è chi si è lanciato in bizzarre teorie e chi ha espresso i propri dubbi attraverso opere d’arte, scritti letterari o, arrivando al ‘900, pellicole cinematografiche.
Gli esperti si sono impegnati per cercare di fornire una risposta concreta a tale quesito, risultandovi apparentemente molto vicini in alcuni casi e, al contempo, profondamente distanti in altri.
Le missioni concentratesi sul rilevamento di testimonianze, al pari di vere e proprie prove archeologiche, che potessero quantomeno dimostrare una presenza passata di vita nel resto dell’Universo sono state molteplici, ma nessuna è, sino ad ora, stata in grado di consegnare i risultati auspicati.
Vita su Marte? Se ne parla già nell’800
L’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo pubblicò un trattato dal nome “La Vita sul Pianeta Marte“, datato 1895, in cui lo stesso espose per la prima volta nel corso della storia di come sul Pianeta Rosso non esistesse la presenza di veri e propri canali, bensì di quelle che vengono definite “depressioni del suolo non molto profonde”, la cui estensione prosegue per migliaia di chilometri e possedenti una larghezza pari a 200 chilometri, se non dimensioni ancora maggiori.
Ponendo un particolare focus sulla possibilità di vita organica su Marte, Schiaparelli oltre due secoli fa definì che la mancanza di piogge sopra la superficie marziana lasciava intendere che i “canali” o “depressioni“, rappresentassero il principale meccanismo di diffusione sfruttato dall’acqua per propagarsi sull’intera superficie del pianeta. A distanza di esattamente 130 anni possiamo affermare quanto l’ipotesi avanzata dal nativo di Savigliano non corrispondesse all’effettiva realtà, bensì fosse stata influenzata da illusioni ottiche.

Le conseguenze del trattato
Furono proprio le sue parole che, a distanza di una manciata di decenni, forse meno, scaturirono l’acceso dibattito, perlopiù tra i comuni cittadini, riguardante la possibilità che Marte fosse effettivamente popolata da forme di vita a noi sconosciute, inquadrate nella storia con il termine di “marziani”, che sarebbe diventato una sorta di sinonimo della parola “alieni”, nonostante facesse espresso riferimento agli ipotetici cittadini del Pianeta Rosso. Gli studiosi, da parte loro, cominciarono ad interrogarsi sulle possibilità avanzate da Schiaparelli, proprio nei periodi immediatamente successivi alla diffusione delle sue tesi a beneficio dell’intera comunità scientifica.
L’ipotesi, all’epoca, più gettonata inquadrava la possibilità che le strutture, caratterizzate come detto da un’estensione significativa, pari a svariate centinaia di chilometri, non fossero opera della natura, bensì architettate artificialmente da forme di vita intelligenti, analoghe ma differenti rispetto ai terrestri. Uno dei più ferventi sostenitori di questa tesi fu l’astronomo statunitense Percival Lowell, che all’interno dei tre trattati “Mars“, “Mars and Its Canals“, e “Mars As the Abode of Life“, pubblicati nei tredici anni successivi alla diffusione del trattato dell’autore italiano, espose come i canali evidenziati dallo stesso Schiaparelli non fossero che opere di ingegneria idraulica marziana, costruiti al fine di massimizzare la scarsità di risorse idriche presenti sul Pianeta Rosso. A riportare la notizia è Focus.it.