Vita aliena, qui non è possibile trovarla | Gli sforzi degli astronomi sono stati vani: “Tocca ricominciare da capo”

Esopianeti e lune (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it
Una nuova teoria mette in discussione una delle ipotesi più promettenti sulla presenza di ambienti abitabili nello spazio.
Da anni, ormai, l’umanità scruta il cielo con la speranza di trovare qualcosa di vivo oltre il nostro pianeta. L’idea che là fuori, tra stelle e pianeti lontani, possano esistere creature—anche solo minuscoli batteri extraterrestri—ha acceso la fantasia di scienziati e appassionati.
Alcuni posti, poi, sembrano più promettenti di altri. Ci sono luoghi che custodiscono oceani nascosti sotto strati di ghiaccio spesso chilometri, e questo basta per alimentare il sogno di trovare tracce biologiche. Su uno di questi luoghi la comunità scientifica fantasticava da tempo: sotto la crosta ghiacciata poteva esserci un immenso oceano liquido, un ambiente forse simile a quelli che sulla Terra ospitano forme di vita estreme.
Per anni si è pensato che questi spettacolari pennacchi di vapore fossero il segnale di un collegamento diretto tra l’oceano sotterraneo e la superficie. In pratica, l’acqua liquida si insinuerebbe nelle crepe della crosta ghiacciata e, a causa della differenza di pressione, verrebbe sparata nello spazio come un geyser cosmico. Tutto questo suonava piuttosto plausibile, e l’ipotesi ha dominato il dibattito scientifico per oltre un decennio.
Ora, però, qualcosa non torna più. Se questa teoria fosse sbagliata, bisognerebbe rivedere tutto. Le speranze di trovare ambienti favorevoli alla vita potrebbero ridursi drasticamente, e gli astronomi dovrebbero ripensare da zero i criteri con cui selezionano i mondi più promettenti. Il punto è che ogni nuova scoperta potrebbe ribaltare completamente le nostre certezze.
Una nuova ipotesi cambia le carte in tavola
Un team di ricercatori del Dartmouth College ha recentemente proposto un’ipotesi alternativa, pubblicata il 5 febbraio su Geophysical Research Letters. Secondo questo studio, i pennacchi di questa luna non proverrebbero affatto da un oceano sotterraneo, ma da un’area molto più superficiale: una sorta di zona pastosa di ghiaccio situata all’interno della crosta della luna.
Gli scienziati hanno individuato due problemi nella teoria classica: il primo è che una frattura nel ghiaccio difficilmente potrebbe estendersi fino all’oceano senza richiudersi o congelarsi. Il secondo è che, anche se una crepa arrivasse in profondità, non è chiaro come l’acqua potrebbe risalire fino alla superficie. A questo punto, ecco l’ipotesi alternativa: invece di immaginare un oceano globale con geyser che spruzzano acqua nello spazio, il calore generato dallo sfregamento del ghiaccio lungo le fratture—un fenomeno chiamato “riscaldamento da taglio”—potrebbe fondere parzialmente il ghiaccio, creando un ambiente a metà tra il solido e il liquido, da cui i pennacchi prenderebbero origine.

Cosa significa tutto questo per la ricerca di vita?
Se questa ipotesi fosse corretta, cambierebbe completamente le prospettive sulla possibilità di trovare forme di vita su Encelado. Finora, la speranza si basava sul fatto che i pennacchi fossero un segnale dell’esistenza di un oceano sotterraneo, un ambiente dove l’acqua liquida e la chimica necessaria per la vita potevano interagire per milioni di anni. Ma se i getti di vapore nascono solo da un serbatoio superficiale più limitato e meno stabile, le possibilità di trovare microrganismi si riducono drasticamente.
Tutto questo non significa che la ricerca si fermi qui. Anzi, ora più che mai servono missioni spaziali capaci di analizzare con precisione la composizione chimica dei pennacchi e capire una volta per tutte da dove provengano. La NASA e altre agenzie spaziali stanno già progettando nuovi strumenti per indagare Encelado e altre lune simili, perché la caccia alla vita oltre la Terra è tutt’altro che finita. Ma una cosa è certa: ogni nuova scoperta cambia le regole del gioco.