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Pianeti extrasolari, lo zolfo è la chiave per escludere se un pianeta è inabitabile

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Pianeti extrasolari (INAF foto) - www.aerospacecue.it

Non soltanto la distanza dalla propria stella. Anche la presenza di anidride solforosa può definire l’abitabilità di un pianeta

Gli approfondimenti condotti a riguardo nel corso degli ultimi anni hanno condotto gli scienziati a condividere comunemente un principio tanto semplice quando fondamentale. Per lo stesso, quando un pianeta si situa nelle vicinanze estreme della sua stella risulta inabitabile, mentre se avviene il contrario, il corpo risulterà fin troppo freddo.

A ciò si ricollega anche il tema della presenza di acqua liquida sulla superficie di un pianeta, ulteriore elemento in grado di definire il grado di abitabilità di un determinato corpo galattico. Un ulteriore modalità di scoperta ed approfondimento a vantaggio degli studiosi è rappresentata dall’osservazione della chimica dello zolfo.

La stessa che permetterebbe in modo più chiaro e preciso di definire il confine delle stelle, dei pianeti e delle rispettive zone abitabili. Ad accendere i riflettori su questa possibilità è un articolo pubblicato su Science Advances, che spiega come diversi pianeti presentassero una temperatura interna sufficiente ad ospitare acqua allo stato liquido inizialmente.

E’ l’esempio di Venere, la cui mancanza di campo magnetico e la ricchezza idrica della sua attività vulcanica hanno comportato un inesorabile “esaurimento” degli oceani. Il pianeta, attualmente, presenta un’atmosfera ricca di anidride carbonica e solforosa e ciò è prevalentemente connesso all’assenza di oceani su Venere.

Un nuovo marcatore come ausilio agli scienziati

Inizialmente il secondo pianeta del Sistema Solare presentava caratteristiche simili rispetto alla Terra, ma se consideriamo che la proliferazione di anidride solforosa può avvenire soltanto in presenza di una chimica di superficie asciutta, peculiarità che Venere presenta, ma non il nostro pianeta, riusciamo a comprendere come già soltanto esaminando tali connotati sia possibile comprendere una marcata differenza.

E’ possibile affermare da parte degli autori di tale studio che la presenza di zolfo indichi chiaramente l’assenza di acqua allo stato liquido su un pianeta. Questo marcatore potrebbe essere impiegato anche per definire le zone potenzialmente abitabili sulle stelle presentanti caratteristiche simili a quelle del Sole.

Zolfo
Zolfo nativo (Depositphotos foto) – www.aerospacecue.it

La sperimentazione del metodo sul campo

Ma se i pianeti secchi e caldi rappresentano aree in cui si concentra una particolare composizione di zolfo, le molecole stesse possono essere danneggiate dalla luce ultravioletta; ciò significa che, nonostante gli scienziati siano riusciti a dimostrare che la presenza di anidride solforosa definisca inevitabilmente un pianeta “secco” e sprovvisto di acqua, l’opposto non deve per forza verificarsi in caso di situazione contrario. Perché c’è la possibilità, come dimostrato dallo studio stesso, coordinato dai coautori Jordan, Sean, Oliver Shorttle e Paul B. Rimmer, che un pianeta non umido che pur orbita attorno ad una stella in grado di diffondere radiazioni ultraviolette potrebbe non presentare affatto composti solforosi.

Sono state prese in esame le nane rosse TRAPPIST-1, attorno alle quali orbitano, si stima, almeno tre pianeti potenzialmente abitabili. Dagli approfondimenti è emerso che i livelli di radiazioni ultraviolette presenti risultino troppo alti per procedere alla marcatura dello zolfo, nonostante potenzialmente le nane rosse vengano indicate come aree abitabili. L’utilità della chimica dello zolfo, tuttavia, non è assolutamente in discussione, anche se la necessità di ulteriori identificatori chimici, al fine di restringere le zone abitabili, si rende inevitabile.