Astronauti, giorno dopo giorno restano vittime delle radiazioni | Sembra che sia arrivato il materiale giusto per difenderli
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Astronauti e rischi dell'esposizione radioattiva (Canva/Pexels foto) - www.aerospacecue.it
L’esposizione prolungata degli astronauti alle radiazioni cosmiche potrebbe finalmente aver trovato un degno sistema di contrasto
I raggi cosmici sono in grado di colpire la Terra da differenti possibili direzioni, in quanto seguono un ritmo simile a quello della velocità della luce. L’origine di queste particelle viene attribuita sia all’ambito galattico, sia all’extragalattico.
Quando si avvicinano in prossimità del pianeta Terra, per via della loro carica elettrica, vengono deviati dai campi magnetici galattici ed extragalattici e dal campo magnetico terrestre.
Nel corso delle esplorazioni spaziali, gli astronauti sono costantemente esposti al contatto con le radiazioni spaziali; questo perché il filtro offerto dall’atmosfera terrestre nei confronti dei raggi cosmici e delle particelle solari ‘termina’ il proprio funzionamento, se per esempio ci si trova sul suolo lunare o marziano.
Le conseguenze a cui si può andare concretamente incontro sono rappresentate da tumori radioindotti, a seguito dell’esposizione prolungata, ma anche effetti visibili già nell’immediato, definiti nella “sindrome acuta da radiazioni“, causa diretta di nausea, vomito e diminuzione cellulare ematica.
La potenziale soluzione
La problematica derivante dall’esposizione prolungata degli astronauti alle radiazioni cosmiche appare ancora troppo poco adeguatamente tratta, in particolare per quanto concerne le misure preventive più opportune che dovrebbero essere messe in pratica. Gli esploratori che sono correntemente occupati presso la Stazione Spaziale Internazionale devono fare i conti con un’esposizione ad un livello pari a circa 72 millisievert di radiazioni cosmiche, per un periodo pari a sei mesi continuativi.
A riguardo, un team di ricercatori dell’Università di Gent, Belgio, precisamente impiegato presso il Polymer Chemistry and Biomaterials Group, ha lavorato dietro ad una specifica tipologia di idrogel, in grado di catturare l’acqua in modo stabile. Il materiale si fonda sulla presenza del SAP (Polimero Super-Assorbente Avanzato), che permette proprio l’assorbimento idrico fino a centinaia di volte superiore al suo peso.
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Le potenzialità del nuovo materiale
La particolarità risiede proprio nel fatto di sfruttare l’acqua, già nota come uno scudo naturale decisamente efficace nel contrasto alle radiazioni cosmiche. Questo grazie alla densità del materiale e all’abbondanza interna di atomi d’idrogeno. Ma anche quest’opzione non è del tutto esente da criticità, in quanto, considerando l’assenza di gravità nell’ambiente spaziale, il suo movimento libero ed incontrollato può addirittura arrivare a generare disagi come cortocircuiti nei sistemi elettrici delle navicelle.
In merito a queste potenziali problematiche, lo sviluppo dell’idrogel risulta più capace che mai a fornire una risposta efficace. Come abbiamo anticipato, infatti, è in grado di mantenere l’acqua in una struttura stabile, modellando il materiale in differenti forme mediante l’ausilio della stampa 3D. Una protezione senza precedenti per le navicelle, che in un ipotetico futuro potrebbe essere impiegata anche per accrescere il livello di sicurezza ulteriore per gli astronauti, mediante rivestimento delle tute spaziali. Non è neppure da escludere la possibilità d’impiego come sigillante. A diffondere la notizia è l’ESA, l’agenzia spaziale europea.