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Buchi neri, finalmente hanno scoperto in che modo si comportano quelli supermassicci | “Mai visto nulla di simile”

Illustrazione di un buco nero (Depositphotos)

Illustrazione di un buco nero (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

Grazie agli innovativi strumenti le scoperte in ambito galattico si stanno moltiplicando. Ecco cosa è stato scoperto osservando buchi neri supermassicci

Aree dello spazio densissime, in grado di creare dei veri e propri pozzi gravitazionali che attraverso la forza inghiottiscono stelle, pianeti, astronavi e persino la luce; ecco cosa sono i buchi neri. All’interno della nostra galassia, la Via Lattea, ne sono stati individuati circa venti e il rinvenimento è stato possibile grazie alle emissioni a raggi X rilasciate. Il più vicino alla Terra si trova proprio al centro della galassia ed è conosciuto come Sagittarius A.

I buchi neri possono essere definiti stellari, ossia che hanno origine dal collasso di una stella massiccia. Nonostante non presentino dimensioni mastodontiche, la loro densità è ben nota; quanto ne consegue è che la forza di gravità posseduta da questi buchi neri sia in grado di attirare e risucchiare qualunque oggetto gli si avvicini, compresi i gas delle galassie circostanti.

Ma sono stati scoperti anche altre tipologie di buchi neri; tra questi i supermassicci, che presentano una massa decisamente superiore rispetto a quella del Sole, pur presentando dimensioni similari alla stessa stella. I buchi neri supermassicci, a detta degli esperti in materia, si troverebbero nel punto centrale di quasi ogni galassia, aumentando le proprie dimensioni corrispondentemente all’ingestione di polveri e gas.

L’origine degli stessi risulta essere ancora un effettivo mistero, lasciando gli studiosi ad elaborare possibilità sempre più azzardate, che sperano un giorno di trovare una definitiva conferma scientifica. E’ stato addirittura teorizzato che potrebbe trattarsi di migliaia di buchi neri fusi insieme in un corpo unico o che si tratti di ammassi di materia oscura.

 La sensazionale scoperta

Un team di astronomi dell’Università dell’Arizona ha utilizzato l’interferometro del LBT (Large Binocular Telescope), sito sul Monte Graham, proprio nello Stato americano, per catturare immagini, le più nitide mai registrate, di un nucleo galattico attivo nell’infrarosso. Il progetto è stato supportato dall’Istituto per l’Astronomia tedesco Max Planck e gli straordinari risvolti sono stati esposti attraverso un articolo pubblicato su Nature Astronomy. Il nucleo immortalato grazie all’interferometro è situato nella NGC 1068, galassia distante circa 47 milioni di anni luce.

I nuclei galattici attivi, meglio noti con l’acronimo AGN vengono rilasciati direttamente dai buchi neri supermassicci sotto forma di energia e sono in grado di emettere radiazioni sufficienti da coprire totalmente lo spettro elettromagnetico, in grado di rivelarsi anche superiori rispetto alla produzione totale di un’intera galassia. Tra i buchi neri supermassicci siti al centro delle galassie stesse, ve ne sono alcuni considerati a tutti gli effetti attivi, altri classificati come dormienti. La possibilità di osservarli anche da distanze prolungate è rappresentata dai dischi di accrescimento localizzati proprio intorno ai buchi neri; maggiore è la quantità di materia accumulata, più intensa sarà la luce emessa, dando l’opportunità di ammirarli con le attrezzature più consone.

Buco nero supermassiccio (Freepik)
Buco nero supermassiccio (Freepik foto) – www.aerospacecue.it

Una nuova era di scoperte galattiche?

Come è stato possibile inquadrarlo? Proprio grazie all’impiego dell’avanguardistico Large Binocular Telescope. Lo strumento si compone di due specchi che misurano 8,4 metri, in grado di combinare la luce da entrambi posseduta per aumentare vantaggiosamente la risoluzione delle immagini che catturano. Si tratta di una tecnologia del tutto nuova, che permette l’osservazione di fenomeni cosmici mai così dettagliatamente approfonditi prima d’ora. E’ stato, ad esempio, individuato come il disco di accrescimento luminoso che, di fatto, contorna i buchi neri sia in grado di emettere una mole di luce tale da generare un vento capace di eliminare la polvere presente, producendo una vera e propria pressione di radiazione.

Le immagini ottenute grazie all’impiego del LBT sono state comparate dal team di ricerca con alcuni esempi precedentemente attenuti. Dal confronto è emerso che il fenomeno individuato possa esser direttamente collegato all’attraversamento della galassia da parte di un getto radio, in grado di emettere radiazioni capaci di riscaldare le nubi di gas e polvere presenti; l’interazione tra i getti radioattivi e le particelle derivanti dai buchi neri supermassicci è stata definita con il termine ‘feedback del getto radio‘. Il telescopio ha permesso di analizzare in maniera maggiormente precisa e dettagliata gli avvenimenti, anche in contemporanea, che riguardano ambienti complessi e in merito ai quali l’uomo sta proseguendo la ricerca. Ma i particolari emersi negli ultimi tempi lasciano presagire che, con il progresso delle tecnologie, i decenni a venire permetteranno di risalire in maniera chiara ai fenomeni che avvengono all’interno delle galassie, aiutando gli studiosi a comprendere da cosa sia realmente innescata la formazione delle stesse.