Missioni spaziali, c’é un problema irrisolto dal 1969 | La fase di atterraggio mette a rischio i moduli e la sicurezza degli astronauti
C’è un problema che attanaglia gli scienziati e gli astronauti da decenni e che compromette le missioni spaziali.
Le missioni spaziali stanno puntando sempre più in alto, con mete che fino a poco fa erano solo un sogno. L’idea di tornare sulla Luna e di raggiungere Marte si sta trasformando in un obiettivo concreto, ma non è tutto così semplice come si potrebbe pensare.
In effetti, immaginare un atterraggio su un suolo alieno è affascinante, ma nasconde una quantità impressionante di difficoltà che gli ingegneri devono affrontare per proteggere gli astronauti. Per non parlare delle condizioni estreme di questi posti, che rendono tutto un po’ più… rischioso.
Certo, oggi disponiamo di tecnologie molto più avanzate rispetto ai tempi del programma Apollo, quando le missioni lunari aprivano la strada per la prima volta. Ma non è solo questione di strumenti sofisticati. Ci sono delle sfide naturali, quelle che non si possono cambiare, che rendono l’atterraggio su un altro pianeta (o satellite) ancora più complesso di quanto sembri a prima vista.
Su Marte, ad esempio, le tempeste di sabbia sono un problema non da poco: i venti sollevano polvere che potrebbe danneggiare la strumentazione, e la visibilità in certe situazioni diventa pessima. Poi c’è la Luna, che pur non avendo un’atmosfera come la nostra, ha comunque delle insidie proprie. E non parliamo di dettagli: in questi casi ogni granello può fare la differenza tra un atterraggio riuscito e un disastro totale.
La sfida della regolite e i rischi connessi
Uno degli ostacoli più insidiosi è costituito dalla regolite, quella sorta di polvere finissima che ricopre la superficie di quasi tutti i corpi rocciosi del nostro Sistema Solare. Per dirla tutta, era già un problema ai tempi delle missioni Apollo: il motore del Lem sollevava una nuvola densa di polvere, e gli astronauti si ritrovavano a scendere a “occhi chiusi”, senza vedere con chiarezza il punto d’atterraggio. Ecco, immaginate di dover poggiare un veicolo su una superficie sconosciuta, mentre una nebbia spessa di polvere copre tutto il campo visivo.
Oggi gli astronauti avranno a disposizione strumenti di navigazione molto più avanzati, inclusi sensori e telecamere di navigazione puntati verso il basso, per guidare meglio la discesa. Ma anche questi dispositivi potrebbero subire lo stesso destino: una nube di regolite sollevata dai motori potrebbe coprirne le lenti, rendendole inutilizzabili. E non è solo questione di visibilità ridotta: con l’aumentare della densità di questa “nebbia spaziale”, la sicurezza del modulo e dei piloti potrebbe essere seriamente compromessa. E su Marte? Beh, lì è ancora peggio, perché i venti ci mettono il carico, sollevando nuvole di polvere ancora prima dell’arrivo del modulo di atterraggio.
Rifle: la tecnologia radar come soluzione anti-polvere
Per cercare una soluzione a questo problema, un gruppo di scienziati dell’Università dell’Illinois ha tirato fuori un’idea tanto semplice quanto geniale: un radar, chiamato Rifle (Radar Interferometry for Landing Ejecta), progettato appositamente per “vedere” attraverso la polvere sospesa. In pratica, Rifle funziona emettendo onde elettromagnetiche e misurando il tempo che impiegano a rimbalzare indietro, calcolando così quanto è densa la nube di regolite.
Durante i primi esperimenti, effettuati in una camera a vuoto per simulare l’ambiente spaziale, gli scienziati hanno usato delle particelle vetrose al posto della regolite. I risultati sembrano molto promettenti: Rifle è capace di fare migliaia di rilevazioni al secondo, anche in condizioni in cui i sensori ottici si perderebbero nel caos di polvere. Non male, vero? Oltre a ridurre il rischio per le missioni, Rifle potrebbe aiutare il pilota a individuare il punto di atterraggio ideale, raccogliendo dati ben prima del contatto con il suolo.