Venere, la scoperta è tutta italiana | Un team di ricercatori si trova di fronte ad un’intensa attività vulcanica, con fiumi di lava come sulla Terra
Venere, un pianeta affascinante e misterioso, continua a stimolare la curiosità e la ricerca scientifica.
Conosciuto come il pianeta più simile alla Terra in termini di dimensioni e composizione, Venere si distingue per la sua atmosfera densa e soffocante, composta principalmente di anidride carbonica, e per le sue temperature superficiali estremamente elevate, che possono superare i 460 gradi Celsius.
La superficie di Venere è ricoperta da vaste pianure laviche e numerosi vulcani, alcuni dei quali di dimensioni paragonabili a quelli più grandi sulla Terra. I vulcani su Venere sono stati oggetto di intenso studio sin dalle prime missioni spaziali che hanno inviato sonde sul pianeta. Tra queste, la sonda Magellano della NASA, lanciata nel 1989, ha fornito una mappatura dettagliata della superficie venusiana.
La scoperta di attività vulcanica su Venere ha sempre suscitato grande interesse tra gli scienziati. Tuttavia, a causa delle condizioni estreme sulla superficie del pianeta e della sua atmosfera opaca, ottenere prove dirette di eruzioni vulcaniche è una sfida significativa. La missione Magellano ha comunque permesso di fare importanti osservazioni che suggeriscono la presenza di un’attività vulcanica continua.
Nel 2023, i dati della sonda Magellano hanno portato alla scoperta di un vulcano attivo su Venere. Questa scoperta è stata considerata rivoluzionaria, poiché ha fornito le prime prove concrete di eruzioni vulcaniche recenti, dimostrando che il pianeta non è geologicamente morto, ma anzi, presenta dinamiche simili a quelle terrestri.
Nuove scoperte sul vulcanismo di Venere
La ricerca sul vulcanismo venusiano ha avuto un ulteriore sviluppo grazie al lavoro di un team di scienziati italiani. Utilizzando i dati raccolti dalla sonda Magellano, hanno condotto un’analisi dettagliata delle mappe topografiche di Venere, concentrandosi su due regioni specifiche: il vulcano Sif Mons nell’emisfero meridionale e l’area Niobe Planitia vicino all’equatore.
Il team italiano, composto da Davide Sulcanese, Giuseppe Mitri e Marco Mastrogiuseppe, ha confrontato le mappe registrate tra il 1990 e il 1992, rilevando cambiamenti significativi nella morfologia della superficie. Queste osservazioni hanno indicato flussi di lava recenti che si sono solidificati, formando nuovi depositi rocciosi. La quantità di lava fluita sulla superficie è stata sufficiente a riempire idealmente 90.000 piscine olimpioniche.
L’importanza delle future missioni
Confrontando le immagini del 1990 e del 1992, gli scienziati hanno notato flussi di lava consistenti che hanno creato nuovi depositi profondi fino a 20 metri. Questi flussi sono stati interpretati come colate laviche che scorrono lungo pendii o pianure vulcaniche, deviando attorno a ostacoli come vulcani a scudo. Dopo aver escluso altre possibilità, i ricercatori hanno confermato che si tratta di nuove colate laviche.
Queste scoperte sono particolarmente rilevanti in vista della prossima missione VERITAS della NASA, prevista per dopo il 2030. La missione VERITAS avrà l’obiettivo di esplorare Venere con una serie di strumenti avanzati, capaci di fornire immagini ad alta risoluzione e di identificare i cambiamenti sulla superficie del pianeta.