Scoperta vicino a Trieste la mappa celeste più antica mai conosciuta
In un’epoca in cui il cielo notturno era l’unica mappa stellare a disposizione, una scoperta archeologica vicino a Trieste potrebbe ridisegnare la nostra comprensione dell’astronomia antica. Nel Carso triestino è stata scoperta una pietra circolare, incisa 2.400 anni fa, che potrebbe rappresentare la mappa celeste più antica mai conosciuta. Questo reperto archeologico, con le sue 29 incisioni, raffigura costellazioni come lo Scorpione, Orione, le Pleiadi e Cassiopeia, oltre a un fenomeno astronomico insolito che potrebbe essere una supernova mancata.
Il modello digitale della pietra e collaborazione interdisciplinare
Il modello digitale di elevazione della faccia principale della pietra, studiato dai ricercatori Bernardini et al. e pubblicato su “Documenta Praehistorica” nel 2022, fornisce una riproduzione dettagliata delle incisioni. Questa tecnica moderna ha permesso di esaminare in modo approfondito le caratteristiche della pietra, offrendo una visione più chiara del suo significato storico e astronomico.
Il lavoro di Paolo Molaro, astronomo presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica di Trieste, e Federico Bernardini, archeologo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha portato a questa scoperta significativa. La loro collaborazione, iniziata circa due anni fa, ha unito l’astronomia e l’archeologia in un modo unico, dimostrando l’importanza di tali sinergie nell’esplorare il passato umano.
Analisi e interpretazioni della mappa celeste più antica
Le due pietre circolari trovate all’ingresso del Castelliere di Rupinpiccolo, risalenti a un periodo tra il 1800 a.C. e il 400 a.C., presentano caratteristiche affascinanti. Mentre una sembra raffigurare il disco solare, l’altra con le sue 29 incisioni potrebbe essere una rappresentazione storica e accurata del cielo notturno. Utilizzando software avanzati per la simulazione del cielo di epoche passate, i ricercatori hanno trovato una correlazione tra le incisioni e specifiche configurazioni stellari.
Il mistero del 29/mo segno e domande aperte sulla mappa celeste più antica
Il ventinovesimo segno, in particolare, rappresenta un mistero intrigante. Gli studiosi ritengono che possa simboleggiare una ‘supernova fallita’, un fenomeno astronomico noto come transiente. Questa interpretazione solleva la possibilità che in quella specifica regione del cielo possa esserci un buco nero, un’ipotesi affascinante che collega l’antichità con le scoperte astronomiche contemporanee.
Questo ritrovamento solleva domande fondamentali sulla conoscenza astronomico-culturale dei popoli antichi del Carso. La capacità di rappresentare astronomicamente il cielo senza la conoscenza della scrittura indica un livello di comprensione e curiosità verso l’universo sorprendentemente avanzato per quell’epoca.
Contesto storico: il disco di Nebra
La mappa del cielo di Nebra, datata intorno al 1600 a.C. e proveniente dalla Germania, rappresenta finora la più antica rappresentazione notturna conosciuta. Tuttavia, a differenza della pietra del Carso, il disco di Nebra è considerato una rappresentazione simbolica piuttosto che una mappa astronomica accurata.
Questo ritrovamento nel Carso potrebbe ridefinire la nostra comprensione dell’astronomia protostorica europea. Offre una finestra unica sul modo in cui gli antichi popoli osservavano e interpretavano il cielo stellato, segnando un passo fondamentale nella storia dell’astronomia umana.