Misterioso cilindro spaziale ritrovato in Australia: da dove proviene?
Sulla spiaggia di Green Head, sulla costa occidentale dell’Australia, è emerso un cilindro spaziale metallico di grandi dimensioni. L’oggetto ha suscitato grande curiosità tra gli appassionati dell’esplorazione spaziale. Le autorità hanno subito intrapreso un’indagine per determinare la sua origine e natura, mentre diverse teorie hanno iniziato a circolare. Ma di che cosa si tratta?
Il ritrovamento del cilindro spaziale
Il cilindro metallico è stato scoperto casualmente da alcuni residenti sulla spiaggia di Green Head, nell’Australia occidentale, il 17 luglio. Le autorità hanno immediatamente preso misure precauzionali creando un perimetro di sicurezza intorno all’oggetto. Dopo una prima fase di studio e analisi, l’oggetto è stato ritenuto sicuro e non pericoloso per l’incolumità pubblica. Tuttavia, il mistero sulla sua origine ha attirato l’attenzione delle agenzie spaziali e degli esperti di tutto il mondo. Il cilindro metallico è alto circa 2 metri e mezzo e possiede un diametro di 3 metri. È arrivato sulla spiaggia di Green Head trascinato dall’oceano. Dalle prime indagini, è emerso che il cilindro non proveniva da un lanciatore spaziale australiano.
Le prime ipotesi proposte
Sono nate diverse teorie per quanto riguarda l’origine dell’oggetto. Alcune hanno suggerito che possa essere un residuo del volo MH370 scomparso nel Pacifico nel 2014. Tuttavia, gli esperti hanno respinto questa possibilità a causa della mancanza di segni di usura compatibili con un lungo periodo in acqua. Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che il detrito pptesse essere frutto del lancio della recente missione lunare indiana Chandrayaan-3, o uno degli stadi di un altro razzo indiano, il Polar Satellite Launch Vehicle. Tuttavia, queste teorie non sono apparse convincenti, poiché il cilindro presentava sedimenti marini incompatibili con una breve permanenza in mare. Uno degli elementi più interessanti scoperti sul cilindro spaziale ritrovato sono le tracce di cirripedi. Questi organismi marini sono noti per attaccarsi a superfici dure e possono fornire indizi sull’origine e sulla provenienza dell’oggetto. Gli esperti hanno studiato attentamente queste tracce per ottenere ulteriori informazioni sull’oggetto e confermare l’ipotesi dell’origine indiana.
L’origine indiana del cilindro spaziale
Grazie alle indagini, è stato possibile stabilire quasi con certezza che il cilindro spaziale appartenga a un lanciatore spaziale indiano. Si tratterebbe di un frammento di uno degli stadi del veicolo spaziale da carico LVM3. Questo è stato utilizzato dall’Organizzazione indiana per la ricerca spaziale (ISRO) per il trasporto di piccoli satelliti in orbita. Questo ha permesso di identificare il frammento come appartenente a un lancio che risale agli ultimi 10 anni. L’LVM3 è un razzo a tre stadi sviluppato dall’ISRO, progettato per mettere in orbita satelliti per le telecomunicazioni in orbita geostazionaria, cioè a una distanza tale da risultare apparentemente fissi in cielo.
Oltre ai satelliti per le telecomunicazioni, l’LVM3 ha partecipato anche al lancio del rover lunare indiano della missione Chandrayaan-3. Inoltre, sarà utilizzato per il lancio della missione con equipaggio umano Gaganyaan. Secondo il Trattato sullo spazio extra atmosferico delle Nazioni Unite, i resti dei lanci spaziali caduti in territorio straniero devono essere restituiti al loro paese di provenienza. Per questo, una volta confermata l’origine, l’oggetto sarà restituito all’India.
Come arrivano i detriti spaziali sulla Terra?
I razzi vettori utilizzati per mettere in orbita le navicelle spaziali o i satelliti sono costituiti da più stadi che si attivano successivamente per fornire la spinta propulsiva necessaria a superare la gravità terrestre. Quando uno stadio esaurisce il carburante, si sgancia in modo da scendere in caduta libera sulla Terra. Gli ingegneri possono calcolare con precisione il luogo di rientro dei detriti, cercando di farli cadere in zone remote, come l’oceano o punti lontani da terraferma, per evitare danni.
Gli stadi abbandonati infatti continuano a orbitare attorno alla Terra e, a causa delle forze gravitazionali e dell’attrito atmosferico, finiscono per rientrare nell’atmosfera terrestre. Il processo di rientro nell’atmosfera può essere imprevedibile e dipende da molti fattori, come l’altitudine e la velocità del detrito spaziale. Alcuni detriti bruciano completamente durante il rientro atmosferico, senza lasciare traccia. Altri, invece, possono resistere al calore estremo generato dalla frizione con l’atmosfera e raggiungere la superficie terrestre.
Il problema dei detriti spaziali è diventato sempre più critico con il crescente numero di missioni spaziali e lanci di razzi. Gli oggetti abbandonati nello spazio rappresentano una minaccia per le infrastrutture spaziali in orbita e per le future missioni. Per mitigare questa minaccia, è fondamentale adottare misure per monitorare e gestire i detriti spaziali. Inoltre, è importante incoraggiare la collaborazione internazionale per sviluppare protocolli e normative che assicurino una gestione sostenibile dello spazio extra-atmosferico.