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Rocket Lab recupera parzialmente il razzo Electron con una nuova tecnica

Durante la notte italiana del 3 maggio l’azienda statunitense Rocket Lab, come programmato, è riuscita ad effettuare il recupero del primo stadio del suo razzo bistadio Electron di ritorno dalla sua missione “There And Back Again”. Il lancio ha permesso l’immissione in orbita LEO (l’orbita bassa terrestre) di 34 satelliti. Questo, in realtà, non è stato il primo recupero da parte dell’azienda che è riuscita nel completare quest’impresa, pur in via sperimentale, ben tre volte.

Una nuova modalità di recupero

Secondo i piani della Rocket Lab, il primo stadio del razzo avrebbe dovuto essere recuperato dall’elicottero Sikorsky S-92 che, agganciandosi al paracadute dello stadio in discesa, avrebbe dovuto portare il carico a terra. Non tutto, però, è andato come previsto. L’operazione di lancio dei satelliti è stata perfetta: dopo la separazione del secondo stadio addetto a portare il payload nello spazio, il primo stadio ha iniziato la sua discesa in caduta libera raggiungendo la velocità di 8300 km/h; a 13 km si è aperto il primo paracadute e a 6 km il secondo.

Questi hanno permesso di decelerare la struttura fino a 36 km/h consentendone l’avvistamento e il recupero da parte dell’elicottero che aveva a bordo, tra gli altri, anche il CEO Peter Back. Tuttavia, i piloti hanno riscontrato vari problemi a causa del movimento anomalo del carico e hanno preferito rilasciare lo stadio nell’oceano Pacifico. Esso è stato, infine, recuperato tramite trasporto navale in seguito.

Le differenze con il Falcon 9

È quasi impossibile non tentare di fare un confronto tra questo approccio e quello della SpaceX con il suo Falcon 9. Il motivo principale della differente manovra di recupero sta nella natura stessa dei due lanciatori. Sebbene anche il Falcon 9 sia un bistadio, infatti, è caratterizzato da dimensioni e prestazioni completamente diverse rispetto all’Electron.

Il primo, infatti, è alto circa 70 metri mentre il secondo soltanto 18: ciò consente al Falcon 9 di portare a bordo un quantitativo maggiore di propellente che lascia al primo stadio i margini sia per effettuare il lancio sia per la manovra di recupero che permette alla struttura di atterrare su una piattaforma. L’Electron, invece, non può compiere quest’operazione ed è anche per questo motivo che la notizia del riuscito recupero è molto importante: la nuova modalità rappresenta la prima vera alternativa al modus operandi del Falcon 9 e apre a nuove possibilità per tutti i lanciatori di piccole dimensioni.

La Rocket Lab e il suo nuovo razzo Electron

La Rocket Lab, fondata nel 2006 dal neozelandese Peter Beck, è una società privata che si occupa di offrire servizi di lancio spaziale per conto di terzi. Attualmente l’azienda ha completato la progettazione e produzione di due vettori: l’Atea, lanciato per la prima volta nel 2009, e l’Electron che ha completato il primo volo sperimentale nel 2017. L’ Electron è un razzo bistadio che permette a satelliti di piccole dimensioni (come il cubesat) di raggiungere l’orbita bassa terrestre.

La struttura, con i suoi 1.2 metri di diametro, è costituita da compositi in fibra di carbonio e, date le dimensioni piuttosto contenute, consente l’immissione in orbita di un carico fino a 300 kg. Entrambi gli stadi montano motori Rutherford che sono endoreattori a propellenti liquidi aventi come ossidante l’ossigeno liquido e come combustibile il cherosene. In particolare, il primo stadio monta 9 motori Rutherford che permettono di avere un picco massimo di spinta di 224 kN mentre il secondo stadio monta un solo motore con una spinta massima di 25.8 kN.

La produzione del motore è all’avanguardia essendo esso costruito tramite stampa 3D. Il costo per lancio si attesta intorno ai 4-5 milioni di euro ma è destinato ad abbassarsi data la riutilizzabilità del primo stadio.

Le prospettive di Rocket Lab

Il razzo Electron. Credits: Rocket Lab

Sebbene l’Electron sia un prodotto relativamente recente, l’azienda guarda già al futuro avendo in fase di progettazione il nuovo razzo bistadio “Neutron”. Esso avrà dimensioni decisamente maggiori rispetto al modello precedente raggiungendo i 40 metri di altezza e i 7 di diametro. Monterà motori Archimedes: endoreattori a propellenti liquidi con ciclo gas generator aventi come propellenti ossigeno e metano. Il carico trasportabile in LEO sarà di 13000 kg e il razzo avrà il primo stadio riutilizzabile con una modalità di recupero simile a quella del Falcon 9.

Il punto di forza del nuovo stadio dovrebbe essere l’ecletticità: esso potrà effettuare lanci per l’immissione in orbita di satelliti e per il trasporto di esseri umani; inoltre, si sta lavorando anche per portare il nuovo razzo a compiere voli interplanetari. È bene ricordare, però, che le caratteristiche di Neutron possono ancora cambiare essendo il razzo ancora in fase di sviluppo. Inizialmente previsto per il 2024, non si hanno date di presentazioni ufficiali.

A cura di Pasquale Bencivenga

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