Uno dei classici problemi dell’aviazione è legato al peso da sollevare in volo. È ben noto, infatti, che i materiali tipici che costituiscono la struttura di un aeroplano devono essere caratterizzati da un rapporto resistenza – peso elevato. Insomma, ogni kilogrammo risparmiato sull’aeroplano può essere una risorsa da investire come carico pagante e massimizzare quindi i vantaggi del volo stesso. Questo concetto assume anche maggiore importanza quando si parla della costruzione di un aeromodello (come nel caso qui proposto del SIAI Marchetti S55X). Nello specifico, piccoli oggetti volanti che basano la propria spinta propulsiva su piccoli motori elettrici.
La parola modellismo indica l’attività relativa alla riproduzione di una particolare struttura reale in scala ridotta. Esso si divide in due branche: modellismo statico e modellismo dinamico. Come si evince dall’aggettivo, la differenza tra i due è che nel modellismo statico si realizza solo il modello in scala. Invece, nel modellismo dinamico il modello finale è in grado anche di simulare i movimenti dell’oggetto reale e quindi, parlando di aeromodello, è in grado di volare. Gli aeromodelli (dinamici) possono essere pilotati a distanza tramite un radiocomando e molto spesso la loro propulsione è basata su piccoli motori elettrici.
Tutto molto interessante, ma come può essere realizzato un aeromodello che sia in grado di volare in maniera stabile, partendo dal nulla? Così come accade per gli aerei veri e propri, le fasi di progettazione che portano alla definizione di dimensioni, geometria e prestazioni partono dalla designazione della missione che il piccolo aereo deve portare a termine.
Nota la missione, si cerca di definirne le diverse fasi, tutte le caratteristiche ed in particolare i dati tecnici. Subito dopo, si passa alla definizione in dettaglio della geometria (tramite un modello CAD tridimensionale) e successivamente alla simulazione di come esso si comporta in aria (tramite un modello FEM). L’ultimo passaggio sarà quello di analizzare i risultati ottenuti dalla teoria ed eventualmente passare alla realizzazione fisica del modello.
La parola chiave da tenere a mente è sempre la stessa: peso. Infatti, il problema principale è dato dall’esigenza di portare in volo la massa dell’ aeromodello utilizzando la spinta prodotta dalle batterie agli ioni di litio. In questo senso, i cosiddetti tagli di peso, e quindi l’ottimizzazione della struttura, costituisce un processo fondamentale nella realizzazione del modello.
Fortunatamente, al giorno d’oggi sono disponibili sul mercato dei materiali altamente resistenti e allo stesso tempo con un peso specifico ridotto. Si tratta dei materiali compositi, famiglia di materiali che assume un ruolo sempre più centrale nell’industria aeronautica. Essi permettono la riduzione del numero di rivetti (ovvero i componenti con lo scopo di collegare i pannelli agli irrigidimenti longitudinali della struttura stessa) perché possono avere un design monolitico.
La struttura di un aeromodello di piccole dimensioni può essere quasi interamente realizzata mediante compositi in fibra di carbonio. Questi ultimi vincono il primato in quanto a resistenza meccanica nella categorie di fibre dry. Nello specifico, l’uso dei compositi è particolarmente adatto per la realizzazione delle centine delle ali, per lo skin (pannelli esterni) delle semiali, della fusoliera e per tutte le superfici mobili.
I materiali compositi sono caratterizzati da due parti: il materiale di rinforzo costituito da fibre e la matrice che agisce da collante per la struttura. Tali fibre tipicamente sono applicate in maniera unidirezionale per sfruttare la resistenza meccanica del materiale nella direzione di applicazione del carico. Oppure possono essere orientate secondo diverse angolazioni per poter assorbire carichi in più direzioni.
Le fibre costituiscono l’elemento principe del materiale composito che ne definirà la resistenza meccanica. Tra le più usate in campo aerospaziale vi sono: fibre di vetro, kevlar e carbonio. Tutte seguono lo stesso processo di lavorazione, ma hanno caratteristiche di resistenza diverse. La differenza sostanziale tra vetro e carbonio riguarda le migliori proprietà meccaniche e una densità inferiore per il carbonio. Queste caratteristiche fondamentali si riflettono in un costo per unità di massa superiore.
Come si fa a mettere insieme questi due elementi, fibre e resina, per realizzare un pezzo in composito? Il processo produttivo dei componenti segue diverse fasi minuziose. Innanzitutto, esistono diversi tipi di lavorazione a seconda del tipo di prodotto da realizzare. Il metodo più immediato è detto resin transfer moulding (RTM) .
Questo consiste nell’applicazione in maniera alternata di strati di fibre asciutte e colate di resina. Tale processo prevede che lo stampo nel quale viene realizzata la lamina deve essere ben pulito da impurità e coperto da un sottile layer di distaccante. Questo permetterà alla lamina di non rimanere attaccata allo stampo una volta concluso il processo produttivo. Il passaggio finale prevede la chiusura dello stampo, per poi permettere il processo di polimerizzazione della resina.
Oggi un metodo più articolato e efficace prevede la formatura in autoclave che consente di ottenere laminati con caratteristiche meccaniche notevolmente migliori. Questo processo consiste nell’inserimento di stampo e laminato all’interno di una sacca in cui è creata la condizione di vuoto. Successivamente, il componente subisce il processo di cura in autoclave. Quindi viene seguito un ciclo di lavorazione in cui temperatura e pressione sono controllati e garantiscono la polimerizzazione del materiale (scopri di più anche sulla tecnica filament winding).
Il Team S55 nasce nel Febbraio 2017 da un piccolo gruppo di studenti del Politecnico di Torino, spinti dalla passione per l’aeronautica e dalla volontà di aiutare il gruppo Replica55 nella progettazione di una replica fedele e volante della idrovolante SIAI-Marchetti S55X. Il Team S55 si propone quindi di progettare e costruire un aeromodello dinamico, nello specifico una riproduzione dell’idrovolante Marchetti.
Il modello CAD mostrato di seguito raffigura l’idrovolante SIAI-Marchetti S55X in scala 1:8 dotato di sistema propulsivo elettrico. Gli obiettivi perseguiti dai modellisti sono la fedeltà estetica e strutturale del velivolo originale, il quale fu un idro-bombardiere bimotore degli anni venti, simbolo dell’aeronautica militare in età fascista. Il CAD originale è stato modificato con dei criteri semplificativi per rendere il velivolo più leggero e più attuale possibile. Successivamente alcune parti più critiche del velivolo sono state modificate in modo da permettere un facile intervento manutentivo, in caso di bisogno.
Sono state utilizzate tecniche moderne come ad esempio l’additive manufacturing, al fine di realizzare gli stampi necessari alla produzione delle lamine in fibra di carbonio. L’utilizzo dei materiali compositi ha permesso di rientrare nei requisiti di peso (e resistenza) determinati dalla propulsione elettrica. Peraltro, ha anche permesso la realizzazione della struttura ottimizzando costi e tempi di lavorazione.
Articolo a cura di Giada Brandi