Non solo astronauti: anche seppie e tardigradi nello spazio
Alle ore 11.09 italiane del 5 giugno scorso la Capsula Cargo Dragon CRS-22 di SpaceX ha raggiunto la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) completando con successo l’attracco. Si tratta di un momento molto importante per svariati motivi, a partire dal fatto che è la seconda navicella targata SpaceX a completare l’attracco in modo completamente autonomo e senza alcun tipo di intervento umano. Inoltre, per la prima volta, la ISS si troverà ad orbitare con ben due capsule di SpaceX, essendo presente anche la Crew-2 che ad aprile ha portato in orbita gli astronauti della Expedition 65. Tuttavia, l’aspetto maggiormente curioso si trova nel carico trasportato da quest’ultima missione: ben 5000 tardigradi e 128 seppie nello spazio! Ma cosa ci fanno degli animali marini in orbita attorno alla Terra?
Tardigradi e seppie: un prezioso alleato nella corsa allo spazio
La risposta arriva direttamente dal ricercatore Luciano Anselmo, attivo presso l’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione “Alessandro Faedo” (Cnr-Isti), dell’area del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, in un’intervista all’AGI:
Inviare tardigradi e piccole seppie sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) può sembrare curioso, ma si tratta di due esperimenti volti a individuare nuove promettenti linee di ricerca che potranno aiutare la scienza a garantire la salute a lungo termine dei futuri esseri umani che viaggeranno nello spazio.
Due sono infatti i progetti di ricerca che verranno sviluppati a bordo della ISS e che sono realizzabili proprio grazie a questo particolare rifornimento. Il primo, denominato Cell Science-04, presenta come oggetto di studio i tardigradi: essi sono un phylum di invertebrati protostomi celomati e risultano di grande interesse per la loro grande capacità di sopravvivenza in condizioni estreme. Il secondo, invece, si chiama UMAMI e studierà il comportamento “spaziale” delle seppie comuni molluschi cefalopodi marini, diffusi nelle acque tropicali-temperate della Terra.
Questi animaletti riescono a tollerare condizioni che ucciderebbero gran parte delle forme di vita note
Il ricercatore Anselmo
Cell Science-04: testare la resistenza dei tardigradi
Il primo di questi due progetti, ovvero Cell Science-04, “rappresenta un curioso tentativo di approfondire la nostra conoscenza delle capacità di resistenza dei tardigradi”, spiega Anselmo. Con l’attracco della Cargo Dragon, la stazione orbitante ne ha ricevuti circa 5.000: “Questi unici animaletti riescono infatti a tollerare condizioni che ucciderebbero gran parte delle forme di vita note”.
Come sappiamo, lo spazio è un ambiente particolarmente ostile per la vita, almeno per come l’abbiamo conosciuta finora sulla Terra. Due sono, su tutti, i fattori maggiormente critici: la gravità e le radiazioni cosmiche.
Se però l’assenza di peso “è un problema che si potrebbe aggirare creando una gravità artificiale”, continua Anselmo, la vera “grande minaccia è rappresentata dalle radiazioni, e questo è un problema che attualmente non ha soluzione. Si pensi che un lavoratore in una centrale nucleare durante la sua intera carriera lavorativa può assorbire una dose di radiazioni confrontabile a quella cui è sottoposto un astronauta che vola per un anno in orbita bassa. Trascorrere periodi di tempo prolungati oltre l’atmosfera o nello spazio profondo rappresenta quindi un rischio enorme per la salute degli esploratori del cosmo”.
Comprendere le modalità con cui i tardigradi hanno sviluppato la propria capacità di resistenza, dunque, potrebbe aiutare gli scienziati a trovare una soluzione anche per l’uomo. “Se si riuscisse a identificare i geni responsabili di questa particolare caratteristica – osserva Anselmo – potremmo ottenere indicazioni preziose per rendere gli astronauti del futuro più resistenti a livello biologico. Ovviamente si tratta di un obiettivo ancora decisamente lontano, ma grazie a missioni ed esperimenti come questi potremmo acquisire le conoscenze necessarie a rendere futuribile un’idea tanto fantascientifica quanto interessante”
Possibile comprendere come lo spazio possa interferire sulla simbiosi tra batteri e animale ospite
Anselmo
UMAMI: rapporto tra seppie e batteri
Diverso invece lo scopo del progetto UMAMI, per il quale sono state portate in orbita 128 seppie. “I calamaretti selezionati per l’esperimento – continua ancora il ricercatore – sono organismi che raggiungono pochi centimetri di lunghezza, ma hanno sviluppato una relazione con un batterio bioluminescente che risiede in un organo specifico dell’animale. Anche gli esseri umani sono caratterizzati dalla presenza di un numero davvero impressionante di batteri che contribuiscono alla nostra salute.
Si pensi che la presenza di batteri nel nostro organismo si conta con una cifra dieci volte superiore rispetto a quella delle nostre stesse cellule. Le dimensioni dei batteri presenti sul nostro corpo sono notevolmente inferiori, ma credo sia importante sottolineare che questi microrganismi contribuiscono al corretto funzionamento di molte delle nostre funzioni vitali”.
Scopo del progetto, quindi, è provare a comprendere come lo spazio possa interferire sulla simbiosi tra batteri e animale ospite. “Le particolari condizioni presenti sulla stazione orbitante e l’assenza di peso potrebbero alterare le interazioni tra l’organismo complesso e il batterio bioluminescente – prosegue Anselmo – questo esperimento si pone proprio l’obiettivo di esplorare tali variazioni e capire come applicare le conoscenze apprese ad applicazioni in grado di rendere più sicura la presenza umana nello spazio”.
Insomma, i risultati ai quali giungeranno i test che stanno per essere svolti sulla ISS, “potrebbero avere delle ricadute molto importanti sui voli spaziali, sulla salute a breve, medio e lungo termine degli astronauti. Capire come rendere più sicuri i viaggi nel cosmo rappresenta il primo passo per raggiungere mete inesplorate, pianeti vicini e lontani e, per citare la nota serie fantascientifica Star Trek, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima”.
A cura di Alessandro Aimasso