Home » Placca pioneer: un messaggio universale distante più di 19 miliardi di km

Placca pioneer: un messaggio universale distante più di 19 miliardi di km

Vi siete mai domandati come sarebbe comunicare con una civiltà extraterrestre? Tranquilli, ci hanno pensato gli statunitensi. Siamo nel febbraio del 1969 e la NASA approva il Programma Pioneer; un progetto costituito da una serie di missioni spaziali senza equipaggio, con lo scopo di esplorare alcuni pianeti del Sistema Solare e contenente la placca Pioneer, unica nel suo genere.

placca Pioneer
Giove fotografato da Pioneer 10. Credits: NASA

Le prime sonde del progetto, le Pioneer 6, 7, 8 e 9, furono create per ottenere le prime, dettagliate, misurazioni del vento solare, del campo magnetico solare e dei raggi cosmici. Le Pioneer 10 e 11, invece, non avevano il solo scopo scientifico di studiare Giove e Saturno fino al loro spegnimento, ma furono anche equipaggiate con un messaggio universale.

Com’è stata ideata la placca Pioneer?

placca Pioneer
Immagine dettagliata della placca. Credits: NASA

Essere umani vuol dire comprendere, spinti da un fervore che ci porta a porre interrogativi che in vari modi, tentiamo di risolvere, attraverso la scienza e la tecnologia. Probabilmente questo pensava Eric Burgess, giornalista esperto di scienze spaziali, quando a seguito di una visita al Jet Propulsion Laboratory, contattò Carl Sagan, astronomo e divulgatore scientifico di fama internazionale. Gli propose l’idea che l’umanità meritava la possibilità, anche se statisticamente utopica, di fare arrivare, con le due sonde, un segno utile a presentare la nostra specie ad eventuali esseri che avrebbero potuto, un giorno, venirne a contatto.

La proposta fu accettata sia dall’entusiasta Sagan che dalla NASA, che diede loro tre settimane per preparare il messaggio. Affiancati dall’astrofisico Frank Drake, che disegnò le placche, esse furono incise dalla moglie di Sagan, per poi essere realizzate da un’azienda californiana e fissate sui fronti dei supporti delle antenne, in una posizione che le protegge dall’erosione della polvere interstellare. L’alluminio anodizzato con oro è il materiale nobile a cui fu affidato questo messaggio, che trasmette a intelligenze, che forse abitano nei mondi più lontani, un’idea della nostra umanità.

Il significato simbolico: transizione iperfine per inversione di spin dell’idrogeno neutro

La placca si compone di una buona serie di simboli che servono, anzitutto, a darne la corretta chiave di lettura. Nell’angolo superiore sinistro della targa in alto, è rappresentata la transizione iperfine per inversione di spin dell’idrogeno neutro, ovvero la debole interazione elettromagnetica tra gli elettroni e il nucleo dell’atomo di idrogeno, l’elemento più abbondante presente nell’universo. 

Al di sotto di questo simbolo c’è una piccola linea verticale, che rappresenta la cifra binaria 1. Questo dato fornisce due differenti unità di misura, atte a misurare lo spazio e il tempo: l’inversione di spin da up a down è infatti descrivibile con una lunghezza d’onda di 21 cm e con una frequenza di 1420 MHz, tradotto anche in 0.7 nanosecondi. Tutti i dati che compariranno successivamente saranno, quindi, basati su questi valori.

 Placca Pioneer: l’uomo e la donna

placca Pioneer

Sul lato destro della placca troviamo, invece, la rappresentazione di un uomo e una donna con sembianze caucasiche, descrizione della genetica umana come la meno razzista possibile. Tra i due segni che indicano l’altezza della donna, troviamo la rappresentazione in sistema binario del numero 8.

Rapportato a quanto detto precedentemente, dalla moltiplicazione del numero 8 per 21 cm (lunghezza d’onda descritta dall’inversione da up a down dell’elettrone dell’idrogeno neutro ) troviamo come risultato un valore dell’altezza della donna pari a 168 cm.

L’uomo ha la mano destra alzata, inteso come un gesto di pace e di saluto. Seppure questo gesto non potrebbe essere allo stesso modo identificabile da civiltà extraterrestri, esso offre un modo per mostrare il pollice opponibile e come possono essere mossi gli arti.

Le 14 pulsar e la posizione relativa del Sole rispetto al centro della galassia

placca Pioneer

La zona radiale a sinistra della placca, presenta una serie di linee che partono da un centro comune e si dipanano in determinate direzioni: in tutto sono quindici. Quattordici sono corrispondenti a delle pulsar (un particolare tipo di stella di neutroni), con un corrispettivo numero binario che ne indica il periodo di rivoluzione, usando la frequenza di inversione dell’idrogeno come unità.

Siccome non tutte sono individuabili da qualunque parte della galassia, una tale ridondanza di dati serve a garantire la possibilità di individuarne almeno alcune e di triangolare, in questo modo, la posizione del Sole. Sulle linee è anche segnalata la terza coordinata dell’asse perpendicolare al piano galattico.

Poiché i periodi delle pulsar variano anche nel tempo, è possibile in questo modo riuscire a risalire alla data di lancio della sonda. La quindicesima linea serve, invece, a indicare la distanza del Sole dal centro della galassia: un lungo segmento che corre dietro alle due figure umane e alla rappresentazione della Pioneer.

Placca Pioneer: il Sistema Solare

placca Pioneer

Al di sotto di questa immagine c’è un diagramma schematico indicante il Sistema Solare, che risulta essere però parzialmente errato. Anzitutto perché, all’epoca, non si conoscevano bene tutti i pianeti, motivo per cui Saturno fu rappresentato con i suoi anelli, mentre non altrettanto vale per Giove, Urano e Nettuno. Inoltre, appare Plutone, che dal 2006 non è più considerato pianeta, riclassificato dall’IAU come pianeta nano e in seguito nel 2008 come plutoide.

Sotto ciascuno di questi è indicata la distanza dal Sole. Una linea, va poi a indicare la traiettoria che la sonda Pioneer 11 ha compiuto prima di dirigersi verso lo spazio profondo oltre il sistema solare: su entrambe avvenuto dopo il superamento di Giove, cosa non del tutto vera, visto che la sonda ha subito una modifica di percorso che l’ha portata fino a Saturno. 

A cura di Alessandro Limer