L’industria tecnologica non è mai stata così importante. Il continuo abbassamento dei prezzi e la miriade di offerte nel mercato ha fatto sì che i dispositivi tecnologici diventassero una parte fondamentale delle nostre vite. Secondo un report del 2013 della Consumer Electronics Association, in una casa di un americano medio si possono trovare 28 dispositivi elettronici, e nulla ci vieta di assumere che ora, nel 2021, il numero sia aumentato. Perciò ci serve l’industria mineraria spaziale.
Tutto questo confort di cui ora disponiamo ha un prezzo: per reperire tutti i materiali, l’industria mineraria produce enormi quantità di gas serra, per non parlare dei danni causati alla biodiversità e quelli dovuti all’erosione del suolo e alla contaminazione delle zone limitrofe, dovute alle perdite di liquidi o materiali tossici usati durante le attività minerarie. C’è una soluzione che ci permetta di ridurre drasticamente i danni dovuti all’inquinamento, pur mantenendo lo stesso livello di confort a cui siamo abituati?
È noto che gli asteroidi che orbitano nel nostro sistema solare siano le rimanenze della sua formazione. Il continuo interesse da parte degli enti spaziali ha fatto sì che oltre allo studio e al monitoraggio della loro traiettoria, venisse condotto anche quello della loro composizione. Molti di questi asteroidi contengono preziosi minerali. Andiamo da quelli piccoli, come DA14 (circa di 50 m di diametro), che contiene un ammontare di minerali preziosi che vale 20 mila miliardi di dollari, a quelli grandi, come 16 Psyche (250 Km di diametro), che contiene abbastanza materiali da poter coprire il fabbisogno mondiale per milioni di anni.
Essendo un target molto appetibile, e viste la continua riduzione dei costi per andare nello spazio, si è sviluppata l’industria mineraria spaziale, un settore dell’industria mineraria nata in anni recenti che si propone di abbattere le drasticamente i livelli di inquinamento dovuti alle odierne tecniche di estrazione dei materiali, e pone le sue basi proprio sulla possibilità di ricavare materiali dagli asteroidi o da altri corpi celesti.
Avendo già mandato sonde per l’esplorazione e la collezione di campioni su asteroidi e comete, siamo già in possesso delle capacità tecniche per dare il via all’industria mineraria spaziale. Il problema è farlo nel modo più efficiente possibile.
Se filtrassimo tutto l’oro presente nell’oceano, avremo a disposizione un lingotto del peso di circa 20 milioni di tonnellate, con un valore che si aggirerebbe sui 771 mila miliardi di dollari. Tuttavia, il filtraggio dell’oro porterebbe ad un costo che azzererebbe o renderebbe negativo il guadagno dovuto alla sua vendita.
L’industria mineraria spaziale ha, al momento, lo stesso problema. Andare nello spazio, infatti, è ancora molto costoso: più distante andiamo, più carburante dobbiamo utilizzare, e più carburante utilizziamo, maggiore sarà il peso che dovremmo lanciare. È quindi evidente che la prima prova da superare sia quella di rendere le missioni spaziali il meno costose possibili, utilizzando, primo fra tutti, un sistema di propulsione più economico.
Prendendo come spunto la transizione motore termico – motore elettrico che sta avvenendo nel settore automotive, si potrebbe passare dalla classica propulsione chimica a quella elettrica, già utilizzata per molte sonde spaziali. Espellendo il propellente ad una velocità fino a 20 volte maggiore della propulsione chimica, la propulsione elettrica necessiterebbe quindi di una massa molto minore da accelerare, rendendo il sistema complessivo molto più efficiente.
L’unico aspetto negativo è la minor quantità di potenza elettrica disponibile all’interno del veicolo spaziale: questo fa sì che possano essere generate delle spinte a bassa intensità ma di lunga durata. Quindi la soluzione finale potrebbe essere un veicolo con propulsione chimica per uscire dall’atmosfera, per poi passare ad uno con propulsione elettrica, evitando quindi di usare troppo carburante solo per traportare lo stesso carburante.
Ora che abbiamo un veicolo spaziale efficiente, dobbiamo trovare gli asteroidi migliori su cui posarci per cominciare le attività di estrazione. Avendo a disposizione miriadi di asteroidi, la scelta deve tenere conto principalmente della facilità con cui possano essere raggiunti. Ecco che quindi gli asteroidi Near-Earth entrano in gioco. Orbitando vicino al nostro pianeta possono infatti essere raggiunti in poco tempo, con poco carburante e più facilmente di altri corpi celesti, come quelli appartenenti alla fascia principale di asteroidi (tra Marte e Giove) e quelli troiani (quelli che condividono l’orbita con altri pianeti).
Essendo così vicini alla Terra sarebbe più facile e veloce il loro trasporto verso una vicina e stabile orbita terrestre, in modo da poter controllare più efficientemente i lavori di estrazione. Il processo non è difficile: le meccaniche orbitali sono complesse, ma la forza giusta al momento giusto può spostare grandi masse di grandi distanze. Entrato quindi in orbita con la Terra, l’asteroide verrebbe raggiunto da un altro veicolo spaziale, contenente tutti gli strumenti adatti a raccogliere i minerali necessari.
Quando si tratta di estrarre materiale a gravità ridotta (come appunto sugli asteroidi) occorre tenere in considerazione che il passaggio più difficile sarà il raccoglimento del materiale, poiché quando estratto, a causa delle reazioni che si sviluppano dalla rottura, fluttuerebbe via dal sito di scavo, rischiando così di andare a danneggiare le attrezzature. Quindi estrarre il materiale superficialmente non è la cosa migliore, a meno di equipaggiare il sistema di estrazione con sistemi troppo complicati per trattenere il materiale estratto. Una soluzione potrebbe essere l’estrazione in profondità, infatti:
Raccolto il materiale necessario, il veicolo spaziale potrà tornare in modo sicuro sulla superficie terrestre producendo in loco lo scudo termico necessario al rientro in atmosfera. Produrre in loco lo scudo termico è infatti un enorme vantaggio in termini di costi, poiché non necessita il suo trasporto nel viaggio di andata. Prevedendo veicoli di dimensioni ridotte, lo scudo termico potrebbe benissimo essere prodotto da stampanti 3D, equipaggiate tra i vari strumenti di estrazione.
Seppure il processo ci sembra tecnologicamente troppo sofisticato e distante dalle nostre capacità, è bene ricordare che ogni nuovo processo tecnologico comincia con metodi poco raffinati e poco efficienti. La nostra esperienza in questo ambito procederà infatti per via incrementale: la prima missione porterà a problemi che faranno sì che la seconda venga fatta in modo migliore e più semplice, che farà lo stesso con la terza e così via.
Diventando sempre più efficienti nelle varie operazioni farà sì che l’industria mineraria spaziale cresca, che siti minerari sempre più grandi possano essere costruiti sugli asteroidi più ricchi di minerali, riuscendo così a sfruttarli al meglio, diminuendo il costo dei materiali estratti e facendo sì che l’intero processo superi in costi-benefici il processo terrestre.
Oltre ad entrare in contatto con una quantità sempre maggiore di risorse, si tratta anche di ridurre gli enormi impatti ambientali di un processo (del quale non possiamo fare a meno): con lo spostarsi del mercato verso questa nuova soluzione, gli impatti dell’industria mineraria sull’ecosistema diminuiranno, rendendo ad un certo punto quasi anacronistico lo scavare sul nostro pianeta, quasi come usare il carbone per alimentare i treni. Osservando le enormi possibilità e gli enormi risultati che questo nuovo settore può portarci, sarebbe sciocco non intraprendere questa strada.
A cura di Jonatha Santini