L’essere umano è sempre andato alla ricerca di energia, e la scoperta di una nuova fonte energetica ha portato sempre ad una svolta epocale nella storia: la scoperta del fuoco, l’utilizzo dei carbon fossili, la fissione dell’atomo. Ogni volta che l’essere umano aveva accesso ad una nuova fonte di energia, l’orizzonte delle opportunità si ampliava e la nostra società si evolveva. È il caso della sfera di Dyson per sfruttare l’energia solare.
Con la sempre più vicina incombenza dei cambiamenti climatici, le fonti energetiche rinnovabili (o green) stanno ottenendo sempre più attenzione, e gli ultimi decenni ne hanno visto un’impennata, per non parlare degli studi e investimenti sulla fusione nucleare. Tutte queste tecnologie, a parte una, hanno una cosa in comune: usano materia o sorgenti presenti sul nostro pianeta.
L’energia solare, invece, usa una sorgente che dista 150 milioni di chilometri, e ai nostri standard odierni, può essere considerata infinita. Al momento però non siamo particolarmente bravi a sfruttarla: i pannelli fotovoltaici hanno una resa intorno al 20%, ma cosa ancora più grave, solo un’infinitesima parte dei raggi solari raggiunge il nostro pianeta. Come evitare di sprecare tutti i restanti raggi solari dispersi nell’universo?
All’essere umano piace catalogare. E l’astronomo russo Nikolaj Kardašëv catalogò i vari tipi di civiltà in base al progresso tecnologico. Attualmente la civiltà umana si trova ancora al livello 0, in quanto non siamo ancora capaci di sfruttare al 100% le risorse del nostro pianeta, cosa che ci farebbe evolvere a civiltà di livello 1. Proseguendo nella scala, troviamo il livello 2, ovvero una civiltà che è in grado di usare l’energia del proprio sistema solare.
Un level-up del genere presupporrebbe la capacità tecnologica di avere accesso all’energia sprigionata dalla stella attorno a cui il sistema solare si sviluppa. Una mega struttura capace di ciò esiste solo a livello astratto, ma essendo fisicamente possibile, è richiesta ad una civiltà che vuole espandersi su scala cosmica.
Una possibile soluzione che una civiltà di scala extra planetaria potrebbe usare è la sfera di Dyson. Fu proposta nel 1959 dall’astronomo Freeman John Dyson, che sulla rivista Nature, pubblicò un articolo teorizzando che civiltà tecnologicamente avanzate avrebbero potuto inglobare la loro stella natia all’interno di una gabbia per massimizzare il ricavo di energia.
Sono stati proposti diversi design: nonostante il termine “sfera”, una struttura più realistica e fisicamente possibile potrebbe assomigliare più ad uno sciame (da qui il nome Dyson Swarm). La struttura sarebbe quindi formata da una miriade di pannelli solari, indipendenti tra loro, che orbitano attorno ad una stella non in modo molto diverso da come i satelliti artificiali si muovono attorno al nostro pianeta.
Di sicuro non vi aspettereste mai che il costruire una megastruttura del genere possa essere definito come “semplice”. Ebbene, il più grande pregio di uno sciame di Dyson è che ogni pannello può essere costruito in modo indipendente, e quindi l’intera struttura può essere prodotta in modo incrementale.
Stuart Armstrong, professore di fisica all’Università di Oxford ha suggerito 5 step che sono stati descritti dallo stesso come “quasi completamente all’interno delle capacità umane”, e che dovranno essere ripetuti in maniera ciclica: acquisire energia, acquisire materiale, lanciare in orbita il materiale, generare i pannelli solari, estrarre energia. Il concetto alla base sta nel fatto che ogni pannello solare genererà abbastanza energia per la produzione di un altro.
Per la costruzione del primo pannello dovremmo ingegnarci su un altro metodo per ottenere il massimo di energia possibile con le nostre attuali capacità. Una possibile soluzione sarebbe quella di portare la produzione su Mercurio: la sua vicinanza al Sole e la sua abbondanza di metalli sono due caratteristiche perfette per quello che interessa a noi: energia e materiali. Inoltre, l’accelerazione gravitazionale di 0.378 g e la pressione atmosferica quasi nulla (
Ovviamente la produzione dovrà essere automatizzata il più possibile per permettere un andamento stabile del processo, viste le caratteristiche non human friendly del pianeta. Una volta ottenuta l’energia e i materiali per la costruzione del primo pannello, messo in orbita solare ad una distanza non troppo diversa da quella dello stesso Mercurio dal Sole, questo genererà sufficiente energia per la produzione di un altro pannello: da 1 passeremo a 2, da 2 a 4, da 4 a 8, da 8 a 16 e così via.
Cruciale è il design dei pannelli: poiché vogliamo ottimizzare l’utilizzo di materiale (sarebbe ottimo farsi bastare tutto il metallo di Mercurio), dobbiamo trovare un compromesso tra volume e massa dei pannelli. Volendo mettere in orbita i pannelli ad una distanza pari a quella del semi asse maggiore dell’orbita di Mercurio, avremmo a disposizione una superficie di
Ipotizzando che metà della massa del pianeta possa essere utilizzata per fabbricare un pannello altamente riflettente, circa
I pannelli dovranno quindi essere degli specchi leggeri e giganti, con una forma facile da replicare ma abbastanza resistenti per evitare manutenzioni continue, e soprattutto dovranno essere economici per amplificarne la velocità di produzione. Dovranno poi essere equipaggiati della tecnologia necessaria per convertire la radiazione incidente in energia elettrica, che dovrà poi azionare il dispositivo di trasferimento wireless di energia collocato su ogni pannello, in modo che tale energia possa essere spedita prima su Mercurio per potenziare i macchinari di produzione, e sulla Terra a lavoro finito.
Nonostante la Sfera di Dyson al momento sia pura speculazione scientifica, è un progetto tutt’altro che impossibile. Il ruotare attorno ad una stella produce una traccia tecnologica, che secondo un report della NASA potrebbe aiutare a rintracciare l’esistenza di civiltà notevolmente avanzate. Nel 2015 l’astronoma Tabetha Boyajian riportò uno strano oscuramento della stella KIC 8462852, che nessuno riuscì a spiegare. L’idea che potesse trattarsi di una sfera di Dyson riaccese l’interesse scientifico riguardo la possibilità dell’esistenza di strutture titaniche nell’universo, simbolo dell’esistenza presente o passata di civiltà extraterrestri avanzate.
Tuttavia, sebbene nessuna evidenza scientifica sia stata trovata, la sfera di Dyson (o strutture simili) è uno step necessario per le civiltà che vogliono garantire la propria sopravvivenza a fronte di una domanda di energia sempre crescente, e la sua fattibilità e relativa facilità di costruzione la rendono ancora più interessante. Un simile traguardo aprirebbe una nuova era nella nostra civiltà, dove il nostro unico limite sarà la nostra immaginazione.
A cura di Jonatha Santini