Attualmente, secondo ESA, in orbita sono stimati più di 900.000 detriti spaziali di “grandi dimensioni”, ovvero superiori a 1 cm. All’interno di questo numero sono considerati sia manufatti di dimensioni ragguardevoli, come stadi di razzi lanciatori, pannelli solari, utensili, sia frammenti di satelliti, spesso creati dalla collisione di due di essi. Un esempio è la collisione avvenuta nel 2013 tra il satellite cinese Fengyun 1C e il nano-satellite russo BLITS. Per realizzare delle azioni concrete con il fine di risolvere questo problema, ESA e ClearSpace hanno firmato un contratto storico per la prima missione di rimozione di detriti spaziali.
Ad oggi, sono tracciati dalle varie agenzie spaziali circa 28.000 oggetti. Ovviamente, intercettare i frammenti di dimensioni minori, quali scaglie di vernice, polveri, liquido refrigerante, è molto complicato e ciò costituisce un grosso pericolo per i satelliti operativi. Essi potrebbero essere danneggiati anche dagli oggetti più piccoli per mezzo di erosione, come fossero soggetti ad un processo di sabbiatura.
Alcuni detriti spaziali stazionano nell’orbita bassa e in breve tempo finiscono la loro traiettoria bruciando nell’atmosfera terrestre. Molti altri, invece, orbitano a distanze decisamente maggiori e quindi sono destinati ad orbitare ancora per moltissimo tempo. Attualmente il detrito spaziale più “longevo” è il satellite Vanguard I, lanciato dagli Stati Uniti nel 1958. Curiosi di sapere quanti satelliti e quanti rifiuti ruotano intorno alla Terra? Segui questo link per scoprirlo.
Con detriti spaziali si intendono tutti quegli oggetti che orbitano intorno alla Terra e non sono più utili al loro scopo. Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento dei lanci spaziali e della messa in orbita di satelliti e questo trend è destinato a crescere.
“Anche se domani tutti i lanci venissero sospesi, le proiezioni mostrano che la popolazione complessiva dei detriti in orbita continuerà a salire, poiché le collisioni tra gli oggetti generano nuovi detriti, in un effetto a cascata. Dobbiamo sviluppare tecnologie per evitare di creare nuovi detriti e rimuovere quelli già in esistenti”.
Luisa Innocenti, capo dell’iniziativa Clean Space dell’ESA
Per questo motivo l’ESA, dopo l’iniziativa Clean Sace e già durante Space19+ (il Consiglio ESA a livello ministeriale, tenutosi a fine 2019), ha deciso di lanciare la nuova missione ClearSpace-1, affidata ad un gruppo industriale costituito da molte realtà europee e guidato dalla start up svizzera ClearSpace.
Il 1 dicembre 2020 è stato finalmente sottoscritto il contratto da 86 milioni di euro tra ESA e ClearSpace. Il costo totale della missione si aggira intorno ai 100 milioni di euro. Secondo gli accordi, il budget rimanente sarà garantito dalla stessa ClearSpace attraverso accordi commerciali con investitori esterni.
ClearSpace, società con sede a Losanna, è stata fondata da un gruppo di ricercatori esperti di detriti spaziali della EPFL (Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne) nel 2018 e in due anni è già riuscita ad affermarsi in un progetto europeo così importante:
“Gran parte della tecnologia esiste già, quindi abbiamo concentrato i nostri sforzi sulla risoluzione delle sfide più grandi con i sistemi di rimozione dei detriti esistenti. Il nostro progetto di ‘camion da rimorchio’ sarà pronto a ripulire le orbite chiave che potrebbero altrimenti risultare non utilizzabili per future missioni, eliminando il rischio crescente e le perdite per i loro proprietari, a vantaggio dell’industria spaziale nel complesso. Il nostro obiettivo è di costruire servizi in orbita convenienti e sostenibili”.
Luc Piguet, AD di ClearSpace
Come riportato dalla stessa ESA sul suo sito istituzionale, l’acquisto di questo tipo di contratto di servizio, piuttosto che sviluppare direttamente e gestire l’intera missione, rappresenta un nuovo modo di lavorare dell’agenzia. Inoltre, l’ESA contribuirà alla missione sviluppando le tecnologie di navigazione e di controllo, metodi di avvicinamento e acquisizione nell’ambito del progetto ADRIOS (Active Debris Removal / In-Orbit Servicing).
Questa missione si prefigge l’obiettivo di lanciare un ‘robot spaziale’, capace di raggiungere e catturare lo stadio superiore Vespa (Vega Secondary Payload Adapter). Esso orbita dal 2013, quando raggiunse l’orbita di circa 800 x 600 km di altitudine con il secondo lancio del razzo Vega. Per dimensioni e massa, circa 100 kg, Vespa è simile ad un piccolo satellite e ha una forma semplice e compatta, rendendolo un obiettivo adatto alla prima missione.
Inizialmente la missione sarà lanciata in un’orbita bassa, circa 500 km di altitudine: qui si effettueranno i primi test critici. Successivamente, l’orbita verrà alzata progressivamente fino a raggiungere l’obiettivo, ovvero il modulo Vespa. Operando sotto la supervisione dell’ESA, il ‘robot spaziale’ dopo aver individuato l’obiettivo, lo raggiungerà e attraverso i bracci robotici lo catturerà. Acquisito l’obiettivo, il robot verrà manovrato per scendere ad orbite via via più basse, trascinando il detrito con sé: qui entrambi verranno distrutti a causa dell’attrito con l’atmosfera.
La questione dei detriti spaziali, quindi, è di vitale importanza per l’utilizzo in sicurezza delle orbite, alcune delle quali rischiano di essere già occupate da rifiuti e detriti spaziali.
“Immaginate quanto sarebbe pericoloso navigare in alto mare se tutte le navi mai affondate nel corso della storia fossero ancora alla deriva sull’acqua. Questa prima operazione di acquisizione e smaltimento di un oggetto spaziale non collaborativo rappresenta un traguardo estremamente stimolante. Ma con il numero totale di satelliti destinati a crescere rapidamente nella prossima decade, regolari rimozioni si stanno rendendo necessarie per tenere i livelli di detriti sotto controllo, per prevenire una serie di collisioni che minacciano di peggiorare notevolmente il problema dei detriti”.
Jan Wörner, Direttore Generale dell’ESA
Per questo l’ESA punta fortemente sul nuovo percorso inaugurato dalla missione ClearSpace-1, con la consapevolezza che possa costituire nel prossimo futuro un importante sbocco commerciale e un tassello fondamentale nell’ambito della crescente Space Economy, come confermato dalle parole di Luisa Innocenti, il piano è che questa acquisizione pionieristica costituisca la base per un caso commerciale ricorrente, non soltanto per la rimozione dei detriti da parte degli attori responsabili dello spazio di tutto il mondo, ma anche per la manutenzione in orbita: queste stesse tecnologie permetteranno il rifornimento e la manutenzione in orbita dei satelliti, prolungando la loro vita operativa. Alla fine, prevediamo che questa tendenza si estenda fino all’assemblaggio, alla produzione e al riciclaggio in orbita.
A cura di Matteo Marinari