Come funziona

Resistenza Viscosa: Passive and Active Flow Control

Le Riblets non hanno un controllo attivo/retroattivo sulla turbolenza: devono sferzare l’energia dei vortici longitudinali a parete, così da diminuire la resistenza viscosa; esse non sono l’unico metodo passivo, ma risultano indubbiamente tra le migliori. Oltre i metodi passivi, ci sono quelli attivi: essi sono molto più complessi dal momento che non necessitano solo dello studio dei fenomeni turbolenti, ma anche della strumentazione adatta per svolgere tale compito.

Le tecniche attive, più delle passive, sono ancora allo stadio “accademico”: sono oggetto di frequenti studi nelle università e negli istituti di ricerca del globo. L’idea è simile a quella delle Riblets: bisogna sferzare l’intensità dei vortici a parete; è possibile farlo attraverso dei movimenti delle pareti, che necessitano di particolari attuatori. Prima di analizzare questa classe, è interessante presentare altri due metodi passivi.

Metodi Passivi: fra fantasia accademica e applicazioni reali

Il modo con cui il fluido interagisce con la parete che lo contiene è fondamentale per poter agire sulla diminuzione della resistenza (componente viscosa). Negli ultimi decenni sono state studiate e progettate delle soluzioni interessanti: i rivestimenti conformi (in inglese, compliant coatings). Sono delle superfici visco-elastiche in grado di interagire con il fluido, deformandosi in base agli sforzi locali a parete.

Rivestimento conforme: la superficie si modifica in base alle forze locali.
Fonte: ScienceDirect.com

Prendendo come esempio i vortici longitudinali, tipici del canale piano, dove essi saranno più intensi, il materiale si deformerà, creando delle increspature che sferzano i vortici stessi. L’effetto maggiore, però, lo si ha nella transizione del flusso, da laminare a turbolento. Se mettiamo in moto l’acqua in un condotto, nella prima parte di esso il flusso sarà laminare, quindi le linee di corrente sono tutte ben allineate con l’asse del condotto stesso.

Dopo questa prima parte, il flusso passa in uno stato transitorio fra quello laminare e quello turbolento, nel quale le linee di corrente non sono parallele, ma molto più caotiche: iniziano a generarsi vortici che accrescono notevolmente la resistenza viscosa. Ciò che questa tecnica permette di fare è ritardare la transizione del flusso, increspandosi nei punti in cui vi sono troppi sforzi locali; nel caso di fenomeni intermittenti o tempo varianti, il materiale visco-elastico è in grado di deformarsi con grande facilità e velocità.

Metodi passivi: Pro e Contro

Dalla fine degli anni ’90 ad oggi, sono stati fatti alcuni studi, che danno dei risultati interessanti, promettendo una diminuzione della resistenza del 7%. Nonostante la loro apparente efficacia, questi materiali possiedono delle criticità:

  • – Sono costosi dal momento che sono poco reperibili e di complessa fabbricazione.
  • – Si danneggiano e si sporcano facilmente facendo crollare le proprie prestazioni.
  • – In ambito aerodinamico aumenterebbero drasticamente il peso del veicolo/velivolo.

Infine, vi è un’altra categoria di controlli passivi che promette risultati eccezionali, ma con grandi limiti di applicabilità: i polimeri. Essi sono delle macromolecole che, inserite in un flusso, cambiano il comportamento in base alle sue proprietà:

  • – Si aggregano in sfere, se è fermo.
  • – Se è in movimento (o tempo-variante), si allungano fino a creare dei lunghissimi filamenti.

Se immessi in un flusso turbolento, creano delle lunghe catene di molecole che, avendo un legame chimico fra di loro, non vengono distrutte dai vortici, anzi, sono loro a sferzare e distruggere i vortici stessi!

Confronto fra due getti di idrante: uno miscelato con i polimeri (additivi) e uno senza
Fonte: UCL News

Osservando l’immagine soprastante, risulta evidente l’effetto dei polimeri: essi vanno ad agire direttamente sulle proprietà viscose del fluido, diminuendo, appunto, la resistenza fino all’80%. Purtroppo, le notizie positive finiscono qui: ovviamente essi possono essere utilizzati solo per flussi interni (condotti, tubazioni) e, purtroppo, durante il trasporto, con il tempo, i polimeri si deteriorano, frantumandosi, causando il deterioramento delle loro prestazioni. In ambito aeronautico non possiedono applicazioni pratiche, tuttavia vengono utilizzati spesso negli oleodotti per diminuire la resistenza del fluido trasportato.

Tecniche Attive: la complessità paga?

Come già accennato in precedenza, le tecniche attive si basano su un controllo diretto della turbolenza attraverso sofisticati sistemi di controllo. Al fine di sferzare i vortici a parete, gli studiosi utilizzano delle speciali “cellule” (o attuatori) per costruire le pareti del condotto o la superficie in questione. Esse sono in grado di contrarsi e distendersi in tutte e sei le direzioni in base all’impulso elettrico che viene immesso: il funzionamento e la struttura sono abbastanza complessi e richiedono un’accurata fabbricazione degli elementi interni.

Se foste in grado di costruire un’intera superficie con queste particolari cellule, potreste modificarla a piacimento in ogni suo punto. Lo scopo delle cellule è quello di muovere localmente delle zone di essa, in modo da andare ad agire direttamente sui vortici, in particolare a sferzarli costringendo il fluido a parete a “muoversi” in una direzione diversa rispetto a quella imposta dal vortice. L’idea è quella di creare le cosiddette “onde viaggianti” o “Traveling Waves”. 

Esempi di Onde Viaggianti: si dividono principalmente in onde oscillatorie e onde di deformazione
Fonte: Semantic Scholar

Ognuna delle onde ha un effetto diverso sul flusso: sono tutt’ora in corso di studio! Osservando l’immagine soprastante:

  1. 1) Ogni “cellula” muove trasversalmente il fluido a parete, rispetto alla direzione del flusso.
  2. 2) Il fluido viene mosso verso l’alto e verso il basso in modo trasversale rispetto alla direzione del flusso.
  3. 3) La parete si deforma creando delle vere e proprie “onde superficiali” che si muovono nella direzione del flusso.
  4. 4) Anche in questo caso la parete si deforma, ma il movimento delle onde è trasversale alla direzione del flusso.

Secondo gli attuali studi, le onde “spanwise” (ovvero quelle trasversali) sono quelle che promettono risultati migliori, dal momento che, come le Riblets, sferzano lateralmente i vortici longitudinali. Gli aspetti che saltano all’occhio fin da subito sono: la grande quantità di energia per il funzionamento delle cellule e, in secondo luogo, tutto il sistema di controllo (sia hardware, sia software) di centinaia (se non migliaia) di esse su una superficie.

Metodi attivi: Pro e Contro

Per quanto riguarda il primo aspetto, nonostante la complessità del sistema, i risultati sono buoni: al netto di tutta l’energia richiesta per il loro funzionamento, il guadagno in termini di diminuzione della resistenza viscosa è maggiore del consumo di energia per il controllo della turbolenza. Secondariamente, tutto il sistema di controllo è demandato ai computer, che sono in grado di controllare ogni singola cellula e di muoverla, in relazione alle caratteristiche istantanee del flusso.

Essendo applicazioni ancora in corso di studio, presentano alcuni aspetti critici di cui tenere conto:

  • – Costruire una superficie costituita interamente da cellule è molto costoso e complesso.
  • – L’intero sistema non potrebbe essere applicato né in ambito aeronautico, né automobilistico, dal momento che il peso del velivolo/veicolo aumenterebbe a dismisura.
  • – Gli studi mostrano che si ha un guadagno utile netto, tuttavia non si comprendono ancora appieno le dinamiche di interazione fra le “onde viaggianti” e i vortici turbolenti.

Insomma, nonostante l’uomo abbia chiamato in campo il suo miglior compagno, ovvero il computer, il controllo attivo non è ancora in grado di sconfiggere gli eddies sulla terra rossa! Prima o poi domineremo anche la resistenza viscosa.

Se vi interessa l’argomento, recuperate il nostro articolo sulla resistenza aerodinamica.

Di Riccardo Musazzi.