Effetto serra marziano: quali sviluppi per l’aerogel di silice?
Le basse temperature e gli alti livelli di radiazione ultravioletta, attualmente, precludono la sopravvivenza della vita sulla superficie di Marte. Se, da un lato, la filmografia testimonia il fascino che il pianeta rosso non smette di evocare, la colonizzazione di Marte rappresenta, dall’altro, una costante della ricerca scientifica nel settore spaziale. Fino ai tempi più recenti la timeline per la terraformazione di Marte (senza usare le bombe atomiche) variava tra i 100 e i 100 000 anni, coinvolgendo massicce modifiche ambientali del pianeta che andranno ben oltre le capacità umane del prossimo futuro. Ma ora? Beh, le condizioni potrebbero essere diverse grazie ad aerogel!
Tre centimetri sotto un aerogel
La timeline di colonizzazione potrebbe cambiare grazie a uno studio innovativo del 2019, secondo cui estese regioni della superficie di Marte potrebbero essere rese abitabili tramite un analogo, a stato solido, dell’effetto serra terrestre: una tecnologia denominata aerogel. Lo studio dimostra come uno strato di aerogel di silice spesso soli 2-3 cm possa contemporaneamente:
- – trasmettere luce visibile sufficiente per la fotosintesi;
- – bloccare le radiazioni ultraviolette pericolose;
- – aumentare le temperature al di sotto dello strato stesso mantenendole, in modo permanente, al di sopra del punto di fusione dell’acqua, senza bisogno di nessuna fonte di calore interna.
Il posizionamento di scudi di aerogel di silice su regioni sufficientemente ricche di ghiaccio della superficie marziana potrebbe quindi consentire la formazione di acqua liquida e garantire alla vita fotosintetica di sopravvivere, con una manutenzione successiva minima. Questo approccio regionale risulta molto più realizzabile della modifica atmosferica globale oggetto degli studi precedenti. Ma quali sono gli sviluppi dopo un anno dal primo studio?
Perché potremmo partire
Scoperti per scommessa, gli aerogel si sono diffusi per le loro particolarità. Presentano:
- – bassa conduttività termica (da 0,03 W/mK a 0,004 W/mK);
- – densità estremamente bassa (in media 0.02 g/cm3 e cioè appena 15 volte la densità dell’aria).
Si tratta di nanomateriali porosi allo stato solido sintetizzati dai gel sostituendone la componente liquida con un gas. Uno dei più comuni tipi di aerogel è quello a base di silice. Poiché le particelle di silice sono più piccole della lunghezza d’onda della luce visibile e i pori all’interno dell’aerogel agiscono come ostacoli nella propagazione delle onde luminose, questo aerogel risulta trasparente. Ciò lo rende un promettente materiale da costruzione, perché trasmette la luce, ma non il calore.
A livello di ricerca spaziale, sono già state sfruttate con successo le sue proprietà termiche nei rover; per esempio, per isolare termicamente i sistemi elettronici, e le sue caratteristiche porose per raccogliere particelle di polvere di stella senza danneggiarle. Anche se le particelle si schiantano nell’aerogel alla velocità di circa 6 km/s, l’impatto non le distrugge perché l’aerogel è fondamentalmente aria; così, i pori del materiale si riempiono di particelle e le conservano fino al rientro sulla Terra.
Perché non siamo ancora partiti
La soluzione con scudi di aerogel presenta principalmente due aspetti critici:
- – il trasporto (o la produzione) di aerogel su Marte;
- – la natura fragile della silice, che limita la resistenza meccanica degli aerogel.
In sostanza, un gel è l’insieme di una rete solida tridimensionale e un liquido intrappolato dentro da effetti di tensione superficiale. Dal gel, si forma un aerogel quando, pur rimuovendo il liquido, la struttura solida rimane invariata, condizione che è abbastanza difficile ottenere e richiede un procedimento apposito.
Se per esempio si lascia semplicemente evaporare il liquido, infatti, si induce uno stress capillare sui pori che provoca il restringimento della struttura. Sulla Terra, una tecnica diffusa per produrre aerogel è l’essiccazione supercritica, che sfrutta il fatto che ogni sostanza pura possiede un punto critico in cui liquido e vapore si fondono in una fase unica avente delle caratteristiche di entrambi.
In questa fase, si annullano la tensione superficiale e gli effetti di capillarità, perciò il fluido può essere rimosso per differenza di pressione senza modificare la struttura solida. Controllando i parametri della soluzione e del gel, si possono migliorare le caratteristiche meccaniche degli aerogel, ma non in modo sufficiente a garantire gli standard di sicurezza che vorremmo per uno scudo marziano che, se dovesse rompersi, ci lascerebbe, grado più grado meno, a -50 °C.
Per questo, la ricerca si sta orientando su materiali compositi a matrice di aerogel e fibre inorganiche o organiche che migliorino le proprietà meccaniche, anche se a discapito di qualcos’altro (le prime sono poco flessibili, mentre le seconde aumentano la conducibilità termica e l’opacità). Lo sviluppo di una soluzione vincente richiederà studi di ottimizzazione e compromessi; è semplicemente per questo esistono gli ingegneri. Per ora, risultati promettenti sono stati ottenuti anche con il Kevlar.
A cura di Luisa Di Monaco.