Esplorare il Sistema Solare: la fionda gravitazionale
Nello scorso articolo abbiamo parlato di JUICE, la prossima missione interplanetaria dell’ESA, alla volta di Giove e dei suoi satelliti ghiacciati. Abbiamo visto che è necessario effettuare diverse manovre di fionda gravitazionale per raggiungere il pianeta ed effettuare il cosiddetto “tour delle lune”, risparmiando così propellente da stivare a bordo della sonda.
Tutte le missioni spaziali passano da qui: ogni chilo (kg) di materiale da portare nello spazio costa circa dai 10 ai 20 mila dollari. Diventa quindi cruciale progettare sonde e satelliti leggeri. Attraverso la fionda gravitazionale è possibile far guadagnare (o perdere) energia alle sonde sfruttando la gravità di pianeti o eventualmente altri oggetti orbitali sufficientemente grandi. Vediamo nel dettaglio come funziona.
Il problema di mandare sonde nei confini del Sistema Solare
Immaginiamo di voler raggiungere un pianeta lontano nel nostro Sistema Solare: Giove, Saturno, o anche Urano e Nettuno. Per dare un’idea delle distanze in gioco, Giove si trova a circa 780 milioni di chilometri dal Sole, 5 volte la distanza della Terra dalla nostra stella; Saturno circa 9 volte, Urano 19.8 e Nettuno addirittura 30. La minima energia (per unità di massa) richiesta per raggiungere Giove, ad esempio, è circa 77 km2/s2. Considerando che gli attuali lanciatori interplanetari più potenti permettono di arrivare a 30.25 km2/s2, si capisce come sia infattibile immettere una sonda in una traiettoria diretta verso Giove. È chiaro che per Saturno, Urano e Nettuno, essendo ancora più distanti, la richiesta energetica è maggiore.
Adesso immaginiamo di voler viaggiare verso pianeti più vicini a noi, come Venere e Marte. Venere si trova a circa 105 milioni di chilometri dal Sole, Marte a 225. Le minime energie per raggiungere questi due pianeti sono di 6.2 km2/s2 e 8.7 km2/s2, rispettivamente. Decisamente più appetibili. Pertanto, l’idea è quella di lanciare la sonda verso questi pianeti vicini, per poi passargli accanto e sfruttare la gravità del pianeta stesso per imprimere una variazione alla velocità della sonda. In questo senso si parla di fionda gravitazionale.
La fionda gravitazionale
Come funziona quindi questa manovra? Immaginiamo il pianeta come fosse una sfera pesante, e pensiamo allo spazio in cui si muove la sonda come un telo elastico. La sfera poggiata sul telo lo incurva. Immaginiamo ora la sonda, lanciata verso il pianeta, come una biglia talmente piccola da non riuscire ad incurvare il telo a sufficienza. La biglia risentirà dell’effetto della curvatura dello spazio a causa della presenza del pianeta, e cambierà la sua traiettoria seguendo questa curvatura.
Questo è in linea di principio ciò che accade durante una manovra di fionda gravitazionale (anche chiamata ‘manovra assistita dalla gravità’). La traiettoria della sonda interplanetaria, accostandosi al pianeta in questione, si incurva sempre di più verso il centro del pianeta a causa della sua gravità. Se la sonda è sufficientemente veloce, la traiettoria non cade sul pianeta, ma si avvicina sempre di più per poi allontanarsi (di nuovo, l’esempio della biglia aiuta).
In questo modo, la gravità del pianeta, combinata con la velocità di approccio della sonda e della minima distanza dal pianeta stesso, permette di modificare la traiettoria interplanetaria della sonda. Se si vuole far aumentare la velocità della sonda, bisogna effettuare un passaggio dietro il pianeta, rispetto alla direzione di avanzamento lungo la sua orbita intorno al Sole, in modo da sfruttare a pieno la gravità. In caso contrario, si passerà davanti al pianeta, in modo che la sonda sia rallentata.
Missioni interplanetarie che hanno sfruttato la fionda gravitazionale
La missione Galileo della NASA, lanciata nel 1989 alla volta di Giove, ha sfruttato successive manovre assistite dalla gravità di Venere e della Terra. A distanza di quattro mesi dal lancio, Galileo ha incontrato Venere per la prima volta, passando a circa 16123 km sopra la superficie del pianeta. Questo ha permesso alla sonda di immettersi in una traiettoria verso la Terra, la quale è stata usata per due volte per aumentare la velocità di Galileo, fino a raggiungerne una sufficiente per arrivare a Giove dopo un viaggio complessivo di circa sei anni.
La sonda Cassini dell’ESA, partita alla volta di Saturno nel 1997, ha sfruttato invece due manovre di fionda con Venere, una con la Terra e una con Giove. La combinazione di fionde con Venere e la Terra sono ideali per aumentare la dimensione dell’orbita della sonda, e quindi per raggiungere pianeti lontani come Giove e Saturno. Inoltre, una manovra con Giove stesso può essere utilizzata per approcciare Saturno con velocità (relativamente) basse, per poter immettere la sonda in orbita del pianeta con poco propellente.
Bepi Colombo, sempre dell’ESA, lancio avvenuto nel 2018, ha come obiettivo Mercurio (il primo incontro ravvicinato dovrebbe avvenire ad ottobre 2021). Mercurio è il pianeta più vicino al Sole: per volare verso il pianeta, la minima energia (per unità di massa) richiesta dal lanciatore è di circa 56.75 km2/s2, quindi comunque elevata. Successivi passaggi con la Terra e Venere permettono di ridurre l’energia della sonda a sufficienza per avvicinarsi all’orbita di Mercurio.
A cura di Andrea Bellome