Il primo buco nero di massa intermedia osservato tramite onde gravitazionali
Quando sono state scoperte le onde gravitazionali, sapevamo che avrebbero aiutato a “decifrare” lo spazio. Ora potrebbero aiutare a spiegare non solo l’esistenza ma anche la formazione dei buchi neri supermassicci. Infatti, la rete di interferometri che vede coinvolto anche quello situato in provincia di Pisa, Virgo, ha scoperto dei buchi neri completamente inaspettati, tra cui il primo buco nero di massa intermedia scoperto tramite le onde gravitazionali.
Le onde gravitazionali di Virgo descrivono lo spazio
Per risalire alla rivelazione che meravigliò il pianeta è necessario retrocedere sino all’11 febbraio 2016. In quel giorno venne resa nota la prima osservazione diretta di onde gravitazionali da parte della Virgo Collaboration e la LIGO Scientific Collaboration. Il segnale analizzato proveniva da una fusione di due buchi neri a circa 1,3 miliardi di anni-luce.
Virgo è nato da una collaborazione internazionale ed è un interferometro di Michelson, strumento utilizzato da Albert Abraham Michelson ed Edward Morley per cercare di dimostrare gli eventuali effetti dell’etere luminifero. L’importanza della scoperta realizzata da questi interferometri non si basa solamente sull’aver dato prova dell’attendibilità della relatività generale di Einstein, ma ci permette anche di poter “identificare e decodificare” lo spazio a partire dai buchi neri.
Vista la nascita di un buco nero grazie alle onde gravitazionali
Le onde gravitazionali sono state captate dai rilevatori dell’Advanced Virgo, frutto di una collaborazione tra il nostro paese, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e i due interferometri Advanced Ligo situati negli Stati Uniti.
Lo studio ha scovato un buco nero con massa pari a 142 volte quella del Sole che sembrerebbe essere frutto della fusione tra altri due buchi neri. Infatti grazie a queste incrinature che caratterizzano lo spazio-tempo gli scienziati sono stati in grado di delineare il risultato della fusione di due corpi celesti con massa rispettivamente equivalente a 66 e 85 volte quella solare. Il segnale GW190521, intercettato il 21 maggio 2019, ha dato vita ad una ricerca che è stata pubblicata sia sul Physical Review Letters sia sull’ Astrophysical Journal Letters. Questo rappresenta il primo buco nero osservato grazia alle onde gravitazionali, nonché il primo buco nero scoperto di massa compresa tra le 100 e 1.000 masse solari.
Un segnale per osservare i buchi neri supermasicci
Secondo le ricerche svolte in precedenti i buchi neri supermassicci, ovvero i più grandi “vortici neri” conosciuti, sono situati al centro di ogni galassia e “inghiottono” una quantità di massa pari al Sole ogni due giorni. Il black hole come quello preso in esame non era mai stato osservato finora, né con le onde gravitazionale né con radiazione elettromagnetica, e queste nuove informazioni potrebbero spiegare la formazione dei buchi neri supermassicci.
GW190521 è situato a 17 miliardi di anni luce e potrebbe ribaltare il concetto per il quale si era convinti che nessun buco nero di tali dimensioni potesse nascere dal collasso di una stella massiccia. Anche se la durata dell’osservazione è stata esigua, le informazioni raccolte sono risultate sufficienti per rilevare gli “screenshot” di numerose fasi della fusione.
La brevità e la non facilità della rilevazione è stata confermata anche da Viviana Fafone, responsabile nazionale della collaborazione Virgo, la quale ha dichiarato che “il segnale osservato è molto complesso e, poiché il sistema rivelato è molto massiccio, è stato osservato solo per un breve periodo: circa 0,1 secondi”.
Un buco nero rotante fantasma grazie alle onde gravitazionali
A rigor di logica, secondo la teoria, un buco nero potrebbe raggiungere al massimo solamente 65 masse solari, e questo prevalentemente perché le stelle piccole perdono massa per stabilizzarsi generando un black hole di appena 30 masse solari. Per le stelle massicce invece, che rientrano in un range di al massimo 250 masse solari, l’unica via d’uscita contemplata finora era l’autodistruzione provocata dall’instabilità del corpo celeste.
L’analisi del segnale ci indica che uno dei due buchi neri prima della fusione ruotava e che questo spostamento veloce ha causato anche la rotazione del piano dell’orbita. L’ambiente circostante è particolare in quanto comprende un grande numero di stelle.
Tutto questo ribalta le teorie e attesta che probabilmente è proprio in habitat ricolmi di stelle che si formano i buchi neri di massa intermedia. Le ipotesi poi non terminano qui, e alcuni cosmologi immaginano che sia stata proprio l’instabilità gravitazionale della materia primordiale nelle fasi successive al Big Bang a creare i buchi neri primordiali. Ma questo è ancora tutto da dimostrare.
Articolo a cura di Luisa Bizzotto