Aviazione

I Jet Fuels: una panoramica sui combustibili aerospaziali

In questo articolo si presenterà una panoramica dei Jet Fuels impiegati in ambito aerospaziale.

I combustibili sono prodotti attraverso la distillazione del petrolio (greggio).

Si parte riscaldando il grezzo, costituito da molecole più o meno leggere. Durante le prime fasi del riscaldamento, a basse temperature, iniziano ad evaporare le molecole più leggere, ad esempio, a 20 °C le molecole di metano sono già gassose (la temperatura di liquefazione del metano è di circa -160 °C a 1 atm).

A partire dai 170 °C, iniziano ad evaporare le molecole di maggiore interesse nei combustibili aeronautici: le paraffine, ossia una miscela di alcani (idrocarburi saturi) caratterizzate da catene di atomi di carbonio, dai 10 ai 16, gli aromatici e altre molecole.

Schema semplificato del processo di distillazione del grezzo

Caratteristiche fondamentali e terminologia

Le caratteristiche fondamentali dei combustibili aeronautici sono la conservabilità (devono essere allo stato liquido) e l’elevata energia per unità di massa e di volume.

La terminologia dei distillati si basa sul punto di ebollizione che determina la composizione media delle molecole:

  • Benzina, con campo di ebollizione <200°C;
  • Nafta, con campo di ebollizione 150-250°C;
  • Cherosene, con campo di ebollizione 200-300 °C;
  • Gasolio, con campo di ebollizione >275°C.

Vi sono, inoltre, prodotti specifici come:

  • AVGAS, con campo di ebollizione tra i 45-145°C, con catene di idrocarburi formate da 8 atomi di carbonio;
  • MOGAS, con campo di ebollizione tra i 30-200°C, con catene di idrocarburi formate da 5 atomi di carbonio;
  • Auto Diesel, con campo di ebollizione tra i 200-350 °C, con catene di idrocarburi formate da 16 atomi di carbonio;
  • Jet Fuels, con campo di ebollizione tra i 150-265 °C, con catene di idrocarburi formate da 11 atomi di carbonio.

Tra i prodotti appena elencati, l’AVGAS è il tipo di benzina che viene usata nei motori alternativi aeronautici, caratterizzata da catene di idrocarburi con basso numero di atomi di carbonio, motivo per il quale è molto volatile.

Tra i jet fuels, il Jet-A possiede prevalentemente catene di 11 atomi di carbonio, con catene di 8 e 15 atomi abbastanza livellate come percentuale in peso.

Il Rocket Propellant 1 (RP-1) è il tipo di cherosene impiegato negli endoreattori, non molto differente dal Jet-A. Questo propellente risulta più “selettivo” riguardo le catene di 11 e 12 atomi di carbonio che ne costituiscono la maggioranza.

Il costo dell’RP-1 è più elevato dal momento che il taglio del cherosene è più raffinato.

Apollo 8 Saturn V 810,700 lt of RP-1

Composizione chimica dei jet fuels

La composizione dei jet fuels dipende fortemente dalla materia prima, ossia dal grezzo da cui si parte con la distillazione.

I contenuti fondamentali sono le paraffine, con diverse ramificazioni (iso-paraffine) o cicliche. Queste molecole sono quelle che forniscono l’energia e costituiscono quindi l’ingrediente principale dei combustibili.

È necessario evidenziare anche la presenza di anelli aromatici, molecole cicliche formate da 6 atomi di carbonio, ciascuno dei quali legato ad uno dei due adiacenti tramite un legame singolo, all’altro con un legame doppio.

Gli aromatici sono allo stesso tempo benefici e indesiderati. Da un lato, godono della proprietà di gonfiare le tenute, prevenendo le perdite. In particolare, questo fenomeno si manifesta quando la presenza degli aromatici supera l’8% ed è molto importante nei motori alternativi. D’altro canto, questi causano depositi carboniosi.

Oltre alle paraffine e agli aromatici, che costituiscono circa il 99% della massa della miscela, sono presenti anche altre molecole di minor importanza.

Quali sono i principali compiti dei combustibili?

Il primo è senza dubbio quello di essere energetici e di bruciare efficientemente, per garantire una buona operatività del propulsore e per abbassare le emissioni.

Un secondo requisito molto importante è rappresentato da un’ottima gestione del combustibile. Infatti, deve poter essere gestito bene anche nelle fasi in cui non è iniettato nella camera di combustione: dall’autobotte al serbatoio (non deve essere troppo volatile) e dal serbatoio al combustore.

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In molti casi il combustibile è utilizzato anche come refrigerante per proteggere apparati elettronici e, in alcuni casi estremi, anche per il bordo d’attacco.

Il combustibile deve pertanto essere in grado di assorbire calore senza essere troppo volatile.

Il percorso seguito dal combustibile inizia dal serbatoio, attraversa la pompa idraulica e, infine, giunge all’iniettore dove viene opportunamente preparato per la combustione.

Dato che gli idrocarburi in questione sono meno volatili di quelli che normalmente costituiscono la benzina, per vaporizzare il combustibile occorre prima atomizzarlo (id est suddividerlo in “goccioline”), aumentando così la superficie esposta a parità di volume. Infatti, in questo modo lo stesso volume di molecole è scaldato più efficacemente e la vaporizzazione è più veloce.

Dopo la vaporizzazione, è molto importante la qualità del “mixing” e dell’accenditore. L’accensione può avvenire in modo termico o elettrico, ad esempio, attraverso un arco elettrico che scalda localmente il flusso.

Normative

A livello internazionale esistono normative specifiche che riguardano tre aspetti del combustibile:

  1. Composizione chimica: tipo di idrocarburi, quantità di aromatici, contenuto di solfuri, di acidi organici e inorganici;
  2. Proprietà fisiche: densità, volatilità, pressione di vapore, flash point, viscosità, punto di congelamento;
  3. Requisiti vari: potere calorifico, qualità della combustione, corrosività, particolati.

La produzione dei propellenti certificati deve soddisfare queste normative, rispettandone tutte le caratteristiche elencate.

Come già accennato, il primo requisito è l’energia per unità di massa e per unità di volume: alti livelli garantiscono la riduzione del consumo, dei costi operativi e dell’emissione di CO2.

I parametri cui convenzionalmente ci si riferisce si chiamano Gravimetric Energy Density (GED) e Volumetric Energy Density (VED). Il cherosene rappresenta il miglior trade-off tra GED, VED e costo.

Inoltre, è molto importante che il combustibile sia stabile nei serbatoi e che non congeli al di sopra dei -47°C per garantire il volo in alta quota. In conclusione, il fluido deve essere poco viscoso, non deve trafilare attraverso le tenute, deve possedere un’eccellente stabilità termica se utilizzato come refrigerante e deve essere compatibile con i materiali che compongono il velivolo.

Punti caratteristici

Per il volo in alta quota, bisogna tener conto del cloud point, punto caratteristico in cui il liquido comincia a solidificare localmente. In queste condizioni il combustibile riesce ancora a fluire nei condotti e attraverso l’iniettore ma le prestazioni della combustione decadono.

Scendendo a temperature più basse, si raggiunge il cosiddetto pour point, la temperatura minima alla quale il combustibile si può considerare fluido.

Al di sotto di questo punto, il combustibile passa dalla fase liquida alla fase semi-solida, perdendo scorrevolezza in quanto iniziano ad aggregarsi i piccoli cristalli.

A temperature anche più basse, si giunge al pumpability point, al di sotto del quale il combustibile è impossibilitato a fluire anche attraverso la pompa idraulica.

In caso di temperature molto rigide, può accadere che sulle pareti del serbatoio si depositi uno strato di combustibile solidificato, effetto molto sgradito in quanto diminuisce il quantitativo di combustibile da poter sfruttare.

Dai primi tentativi ai jet fuels attuali

I primi tentativi americani nella produzione di jet fuels (JP-1, JP-2, JP-3) si sono rivelati fallimentari perché non soddisfacevano le caratteristiche desiderate.

Bisogna attendere la produzione del JP-4, caratterizzato da un campo di pressione di vapore (Reid vapor pressure) ben definito. Infatti, il taglio del cherosene deve essere opportuno in modo che le molecole abbiano una pressione di vapore compresa in un intervallo abbastanza ristretto, col fine di ridurre i problemi di boil-off (evaporazione nel serbatoio) e di vapor lock (evaporazione nel sistema di alimentazione). Nel caso di rifornimento di velivoli sulle navi, sono state apportate alcune modifiche arrivando al JP-5.

Questo propellente possiede un flash-point più alto in quanto sulle portaerei le riserve di combustibile sono molto grandi e un punto di infiammabilità più elevato garantisce una sicurezza maggiore.

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Per il North American XB-70 Valkyrie è stato prodotto uno specifico propellente, il JP-6. Questo congelava a temperature più basse ed era più stabile termicamente.

Per il Blackbird SR-71 è stato invece sviluppato il JP-7, caratterizzato da una pressione di vapore molto bassa e da un’eccellente stabilità termica per svolgere operazioni in alta quota a Mach 3.

La bassa pressione di vapore rendeva necessario un additivo per aiutarlo a vaporizzare in fase di iniezione.

I combustibili utilizzati oggigiorno sono i Jet-A e sono derivati dal JP-4. Essi dispongono di un punto di congelamento più alto per ridurre i costi di produzione. Il vincolo del freezing-point può essere fissato a -45°C per voli non troppo onerosi. Per voli intercontinentali si utilizza il Jet-A1 con freezing point a -54°C.

Jet Fuels alternativi

In seguito all’impennata del costo al barile del petrolio, i costi operativi destinati ai combustibili sono passati dal 22% al 60% circa. Per ovviare a tale sconvenienza, si sono cercate soluzioni alternative al grezzo senza dover stravolgere le tecnologie esistenti, vale a dire i serbatoi, i propulsori, i sistemi di alimentazione, di produzione e di rifornimento.

Nacquero così i combustibili “drop-in”, sostituti dei jet fuels convenzionali, completamente intercambiabili e compatibili con i sistemi tradizionali.

Sono fondamentalmente due i metodi di produzione per i drop-in:

  • Synthetic Jet Fuels: ottenuti da syngas (miscela di CO e H2) da cui si costituiscono gli idrocarburi di interesse attraverso processi di sintesi. A seconda della provenienza del gas, si parla di coal to liquid (se il gas proviene dal carbone) o di gas to liquid. In entrambi i casi, si usa la denominazione Synthetic Paraffinic Kerosene (SPK). Il syngas può anche provenire da sorgenti biologie, in tal caso ci si riferisce ai biomass to liquid (BTL).

I vantaggi dei combustibili sintetici stanno nella loro ottima funzionalità, ma l’assenza di aromatici rappresenta un problema per le tenute. Inoltre, nel loro ciclo di produzione si produce molta anidride carbonica. Per questi motivi, si opta per delle miscele di combustibili convenzionali e sintetici, i cosiddetti Semi-Synthetic Jet Fuels (SSJF).

  • Bio-Jet Fuels: ottenuti da rifiuti biologici, piante o alghe.

In questo caso, il ciclo di produzione di anidride carbonica è potenzialmente bilanciato. La CO2 prodotta dalla combustione è bilanciata dall’assorbimento delle piante durante la crescita. Gli svantaggi di questo combustibile sono legati essenzialmente allo sfruttamento delle terre.

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Abbiamo visto come sia importante produrre combustibili che siano eco-sostenibili. Tuttavia, un’altra ardua sfida che gli ingegneri affrontano è quella di diminuire il rumore prodotto dai motori aeronautici. Leggi il nostro articolo se può interessarti usando il seguente link !