Un gigante gassoso, un pianeta roccioso o semplicemente una superterra ghiacciata, sono solo alcune delle ipotesi che dalla fine del XIX sono nate per spiegare la possibile composizione di uno dei corpi celesti più dibattuti dell’ultimo secolo: il Pianeta X o semplicemente Pianeta Nove.
Un nuovo studio, pubblicato il 24 settembre sul server di prestampa arXiv, suggerisce che l’oggetto misterioso potrebbe essere invece un buco nero primordiale. Lo studio, ancora non sottoposto a verifica, da una nuova luce alla natura del presunto nono pianeta che i nostri telescopi non riescono ancora a vedere.
Uno dei misteri dell’astronomia moderna è la presenza, o meno, del nono pianeta, un Trasplutoniano al di là di Nettuno e dei Plutoidi, la cui presenza fu ipotizzata dopo l’osservazione di evidenti discrepanze nell’orbita di Nettuno e la cui orbita è teorizzata attorno al Sole a una distanza tra 300 e 1.000 UA. La X non è intesa come dieci in numeri romani, bensì come incognita.
Perché non riusciamo a vedere un oggetto che dovrebbe avere 10 volte le dimensioni della Terra? Marc Kuchner del Goddard Space Flight Center della NASA spiega che ci sono poco più di quattro anni luce tra Nettuno e Proxima Centauri, la stella più vicina, e gran parte di questo vasto territorio è inesplorato. In quella regione, raggiunta da pochissima luce solare, anche oggetti molto grandi risultano a malapena distinguibili nella luce visibile.
Cos’è un buco nero primordiale o Primordial Black Hole (PBH)? Beh, non il classico buco nero prodotto dal collasso gravitazionale di una stella. Bensì formato dall’estrema densità della materia presente durante l’espansione iniziale dell’universo.
Durante i primissimi istanti dopo il Big Bang, la pressione e la temperatura erano colossali. In questo scenario, la fluttuazione della densità della materia potevano risultare in regioni locali abbastanza dense da creare buchi neri. Questi buchi neri sarebbero così stabili da non essere spazzati via dall’espansione dell’universo e persistere tutt’oggi.
Gli autori dello studio, gli astronomi Jakub Scholtz della Durham University e James Unwin della University of Illinois a Chicago, credono che un PBH potrebbe essere un’ipotesi plausibile per spiegare l’esistenza dell’elusivo Pianeta X.
Gli scienziati si sono concentrati su due anomalie gravitazionali irrisolte: le orbite anomale degli Oggetti Transnettuniani (TNO) e un eccesso di eventi di microlensing (microlenti) nel set di dati OGLE (L’Optical Gravitational Lensing Experiment è un progetto astronomico polacco con base all’Università di Varsavia che si occupa principalmente della scoperta della materia oscura usando la tecnica delle microlenti gravitazionali) che copre ben 5 anni. Ciò che è interessante è che entrambi gli eventi sono dovuti a oggetti con masse stimate tra 0,5 e 20 masse terrestri.
Mentre le anomalie delle orbite dei TNO è spiegata con l’eventuale presenza del Pianeta X, Scholtz e Unwin sostengono che lo scenario PBH non è irragionevole e dovrebbe essere preso in considerazione.
“La cattura di un pianeta fluttuante è una delle principali spiegazioni per l’origine del Pianeta Nove, e dimostriamo che la probabilità di catturare un PBH è invece comparabile”, hanno evidenziato gli scienziati.
L’ipotetico PBH avrebbe una massa di circa cinque masse terrestri. Un buco nero così poco massiccio sarebbe grande quanto una palla da tennis, mentre, se avesse una massa pari a 10 masse terrestre, le sue dimensioni accrescerebbero a quelle di una palla da bowling.
Infatti dai calcoli è risultato un raggio di 4,5 cm che tuttavia avrebbe una temperatura di circa 0,004 K. Pertanto, la potenza irradiata da un tipico PBH da sola è minuscola, il che rende difficile da rilevare.
Per superare questo ostacolo, gli autori dell’articolo propongono di cercare l’alone di materia oscura che lo circonderebbe. Esso potrebbe estendersi per otto unità astronomiche (1,2 di chilometri, la distanza tra la Terra e Saturno). Pertanto, gli astronomi suggeriscono ricerche dedicate per le sorgenti in movimento nei raggi X, nei raggi gamma e anche in altri raggi cosmici ad alta energia, che potrebbero fornire ulteriori prove a sostegno dell’ipotesi riguardante un buco nero primordiale.