Cosmodromo di Baikonur (Kazakistan), 22 Agosto 2019. È decollato con successo il lanciatore Soyuz che, tra le altre cose, porta a bordo il telescopio italiano Mini-EUSO che sarà utilizzato sulla ISS per analizzare le emissioni ultraviolette del nostro pianeta ed effettuare altre osservazioni scientifiche. Ma ciò che rende davvero unico questo viaggio è il suo equipaggio, il cui unico membro è un robot antropomorfo di fabbricazione russa, Skybot F-850, modello più recente della serie Fedor, che ha preso il posto del comandante (letteralmente, dato che occupa il posto da lui tradizionalmente usato nella capsula). Il volo della Soyuz è quindi effettuato in maniera totalmente autonoma, e il compito del robot è proprio di monitorare e registrare lo stato della capsula, dal lancio fino all’attracco con la ISS.
La serie di robot Fedor viene utilizzata sulla Terra con compiti di varia natura, dalla guida automatica di veicoli, alle missioni di ricerca e salvataggio; è stata ottimizzata per l’ambiente spaziale grazie a nuovi materiali più resistenti che giocano un ruolo chiave soprattutto nelle fasi di lancio, in cui la struttura dell’automa è sottoposta a forti vibrazioni, e a degli speciali algoritmi che ne adattano i movimenti in assenza di gravità. Le sue caratteristiche umanoidi, inoltre, gli consentono di muoversi come farebbe un umano, utilizzando strumenti tradizionalmente usati da esseri umani, dai trapani elettrici agli estintori, e compiere azioni come premere interruttori. Trattandosi di un modello di ultima generazione, Skybot è dotato di un’intelligenza artificiale estremamente avanzata, ma offre anche la possibilità di essere controllato da distanza, grazie all’utilizzo di una tuta indossabile dall’operatore in remoto.
Pur essendo il primo robot russo a salire a bordo della ISS, Skybot non è il primo astronauta della stazione spaziale tutto “circuiti e microchip”. Già da tempo la NASA ha sperimentato l’utilizzo di intelligenza artificiale sulla ISS, come nel caso di Robonaut 2 (R2), che è stato a bordo della stazione dal 2011 al 2018. Successore di Robonaut 1 (R1), che non è mai stato inviato nello spazio, l’automa R2 ha un valore di 2.5 milioni di dollari, è dotato di 350 sensori e 38 processori, è capace di sollevare 40 lb, esercitando una presa di 5 lb per dito e potendo muovere le braccia ad una velocità di 2 m/s. Rispetto al suo predecessore è molto più abile, compatto ed è dotato di un più ampio campo di rilevamento.
La ragione del rientro a Terra è un malfunzionamento che non è stato possibile risolvere sulla stazione: i problemi hanno iniziato infatti a manifestarsi già nel 2014, quando sono state installate due nuove gambe (originariamente il robot era costituito solo dal torso, dalla testa e due braccia) ma dopo alcuni tentativi di riparazione in orbita, R2 ha lasciato la ISS a bordo del Dragon della SpaceX, rientrando sul pianeta blu nel maggio 2018. C’è di buono che gli ingegneri hanno individuato il problema – un cavo mancante nello chassis del computer – e la NASA ha lo scorso 1° agosto durante la ISS R&D Conference ha annunciato il rientro di Robonaut 2 entro la fine dell’anno, a bordo di una navicella Dragon o di una navicella Cygnus.
Oltre Robonaut 2, altri automi sono presenti sulla ISS: il CIMON (Crew Interactive Mobile Companion), dotato di capacità sociali, come la possibilità di comunicare con gli astronauti in un linguaggio naturale grazie al sistema Watson brevettato dall’IBM; o ancora, il progetto Astrobee della NASA, che ha portato sulla ISS dei piccoli robot a forma di cubi, in grado di sostituire gli astronauti in alcune operazioni elementari o i giapponesi Kirobo dell’Università di Tokyo ed Int-Ball (Internal Ball Camera) il drone controllabile da Terra costruito dalla JAXA (l’agenzia spaziale giapponese).
Fedor, Astrobee… In futuro la speranza degli ingegneri è che questi robot possano operare tranquillamente nel vuoto spinto, sostituendo gli astronauti nelle lunghe e pericolose attività extra veicolari.