Di Francesco Salvaterra
L’X-15 (eXperimental) fu uno dei tanti aerei sperimentali che vennero testati nel deserto della California negli anni ’60, prodotto degli sforzi congiunti dell’air force e della NACA (il predecessore della NASA).
Non erano aerei sviluppati per il combattimento, per lo spionaggio o per il trasporto, ma vennero progettati, costruiti e fatti volare con l’unico scopo di esplorare la frontiera sconosciuta del volo ipersonico attraverso l’atmosfera e anche oltre; il primo fu il famoso Bell X-1, il primo aeroplano ad abbattere il muro del suono in volo orizzontale e controllato, pilotato da Chuck Yeager il 14 ottobre del 1947, seguito dall’X-2, che superò Mach 3, l’X-3 che aiutò ad analizzare il volo supersonico mantenuto, l’X-4, che fu progettato senza piani di coda, l’X-5, capace di variare l’angolo di freccia delle ali, l’X-6, che fu progettato a propulsione nucleare e poi non realizzato seguiti da una lunga serie di progetti decisamente all’avanguardia per l’epoca.
Il compito di realizzare l’X-15 venne eseguito dalla ditta North American Aviations mentre la costruzione del motore a razzo fu affidata alla Reaction Motors. La necessità nell’utilizzo di un motore a razzo, rispetto ad un turbogetto, era dovuta all’elevata quota di volo
X-15 fu progettato per studiare il regime di volo più alti di Mach 3, fino ad arrivare al volo ipersonico a più di Mach 5. A queste velocità elevate, la struttura è investita da un flusso ad elevatissima temperatura e solo pochi materiali sono in grado di sopportarla.
Il velivolo fu pronto già a giugno del 1959 ma il motore a razzo, decisamente avveniristico per i tempi, era ancora in costruzione.
Il motore XLR-99 era decisamente sofisticato per i tempi, infatti fu il primo motore a propellente liquido di grandi dimensioni capace di accelerare e riaccendersi in volo, generava una spinta di oltre 200kN, capace di ridurla del 70%; tutte queste caratteristiche risultarono molto complesse, presentarono numerosi ritardi e costi elevati, e vennero integrate sull’X-15 solo un anno e mezzo dopo: fino ad allora, XLR-99 venne sostituito da 2 motori XLR-11, gli stessi usati nei voli dell’X-1.
Il velivolo era lungo 15 metri e mezzo con un’apertura alare di quasi 7 metri. Una caratteristica che colpisce l’osservatore è la coda: insolitamente spessa ed estesa anche al di sotto della fusoliera per compensare la rarefazione dell’aria; la parte inferiore era più lunga dei carrelli di atterraggio e, dunque, doveva essere espulsa prima dell’atterraggio, per poi essere recuperata. La superficie esterna dell’X-15 era fatta di Inconel X, una lega metallica famosa per la sua estrema resistenza al calore; la struttura delle ali era pensata per permettere un certo grado di espansione termica della struttura.
Erano prevalentemente di due tipi: alta velocità ed elevata altitudine.
Entrambi i voli iniziavano allo stesso modo: l’X-15 veniva fissato sotto l’ala destra di un bombardiere B-52, modificato per l’evenienza; l’aggancio prevedeva un collegamento ai serbatoi di ossigeno liquido dell’X-15, in modo tale da permettere che venissero mantenuti sempre pieni, nonostante l’evaporazione. L’X-15 veniva quindi sganciato alla quota di 13.7 Km, a cui seguiva l’accensione dei motori.
Illustrato il principio delle missioni, per quelle ad alta velocità, veniva fatta raggiungere una quota di circa 30 Km per poi modificare l’assetto in posizione orizzontale, mantenendo il motore acceso, fino a raggiungere quasi Mach 7. La velocità più alta raggiunta fu di Mach 6.7, circa 7300 Km/h, a 31 km di altitudine: per il volo, il mezzo venne ricoperto da uno speciale materiale ablativo.
Nelle missioni ad elevata altitudine, dopo lo sgancio, il pilota semplicemente accelerava e cabrava, fino all’esaurimento del carburante. Di tutti i voli del programma, 2 superarono la linea di Karman, ovvero 100 km di altitudine e, pur non avendo sufficiente energia per entrare in orbita, le missioni divennero a tutti gli effetti missioni spaziali e i piloti vennero qualificati come astronauti. Passato il punto di massima altitudine, il velivolo era letteralmente un aliante e sperimentava condizioni di rientro simili a quello orbitale.
Il velivolo fu paragonato a una “tanica di benzina volante”, poiché il suo volume interno era principalmente occupato dal combustibile e dal comburente: per risparmiare peso, lo stesso serbatoio divenne parte integrante della struttura. La cabina di pilotaggio era riempita di azoto, per impedire lo sviluppo di incendi dovuti al surriscaldamento.
In molti sensi il progetto X-15 può essere considerato, per complessità e per avanguardia, un secondo programma spaziale parallelo al programma Mercury e permise importanti passi avanti nell’aeronautica. Tutt’ora, il record di velocità di un aereo pilotato raggiunto nel programma, non è ancora stato battuto.