Brian May: il Queen dell’astrofisica
Bohemian Rhapsody, uscito il 29 novembre 2018 in Italia, ha senza dubbio riportato alla luce una delle band più grandi della storia della musica. Non tutti i gruppi musicali, però, posso contare su un chitarrista da sempre innamorato delle stelle: Brian Harold May, anzi, Dr. Brian May, per tutti noi.
Nato a Twickenham, un sobborgo di Londra, il 19 luglio 1947, May fin da piccolo capisce la sua passione per la musica. Prima il pianoforte, per poi passare alla chitarra, la sua grande compagna che gli resterà per tutta la vita e che inizia a costruire insieme a suo padre.
Take heart my friend we love you
Though it seems like you’re alone
A million light’s above you
Smile down upon your home
Hurry put your troubles in a suitcase
Come let the new child play
Lonely as a whisper on a star chase
I’m leaving here, I’m long away
For all the stars in heaven
I would not live I could not live this way(Long away, brano del 1976 dell’album A Day at the Races – Queen)
Ma non solo la musica riusciva ad appagarlo. Nel 1965 si trasferisce a Londra per iniziare a frequentare la facoltà di Fisica e Astronomia all’Imperial College London. Tre anni dopo, nel 1968, si laurea con lode in Fisica. Successivamente, si troverà davanti a una delle decisioni più difficili della sua vita: proseguire con la sua tesi di dottorato in Astronomia dell’Infrarosso o portare avanti la band Queen, insieme a Freddie Mercury e Roger Taylor.
La sua scelta decide il futuro del gruppo, nonché della storia del rock: “La mia scelta è stata fatta partendo dal presupposto che non ero molto bravo in fisica ma che sarei potuto essere abbastanza bravo nella musica.”
Dal palco a un piccolo ufficio dell’Imperial College
Tre decenni dopo la difficile scelta, May decide che è arrivato il momento di riprendere la sua carriera da fisico dove l’aveva lasciata. Così torna in università, e nell’agosto del 2007, all’età di 60 anni, ottiene il Dottorato in Astrofisica.
Nel 1968, il Dr. May stava lavorando a una tesi sulla polvere zodiacale, cioè, la polvere prodotta dalla collisione tra asteroidi e dall’evaporazione di comete e che si trova nei dintorni delle stelle, anche attorno al Sole. Questa polvere riflette la luce stellare e diventa “visibile”, anche se è molto debole. Oggigiorno risulta un elemento di interferenza nella ricerca di nuovi esopianeti.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso chitarrista, in quegli anni rappresentava un argomento scottante. Dopo 33 anni, però, l’interesse era notevolmente diminuito. Per sua fortuna, erano stati scoperte nuove nuvole di polvere intorno ad altre stelle, in altri sistemi solari.
Spronato anche da tanti conoscenti, Brian May mette tutti i suoi progetti musicali in pausa, e dopo un anno, da un piccolo ufficio dell’Imperial College, riesce a completare la sua tesi che intitolerà “Un’analisi delle velocità radiali della nube zodiacale”.
Questa tesi documenta la costruzione di uno Spettrometro Fabry-Perot, equipaggiato con fotomoltiplicatori e contatori di impulsi, e la sua implementazione sull’Osservatorio del Teide a Izaña, Tenerife, a un’altitudine di 2567 m, con lo scopo di registrare spettri ad alta risoluzione della luce zodiacale. L’obiettivo era quello di ottenere la prima mappatura sistematica della linea di assorbimento MgI nel cielo notturno.
“New horizons to explore, New horizons no one’s ever seen before”
Uno dei momenti più importanti della sua carriera è stato, senza ombra di dubbio, la possibilità di collaborare, nel 2015, alla missione New Horizons, la sonda spaziale della NASA, per lo studio di Plutone e Caronte, il suo satellite.
New Horizons, lanciata da Cape Canaveral il 19 gennaio 2006, ha permesso di avere molte informazioni sul pianeta nano come le sue reali dimensioni, la presenza di un sottilissimo strato di troposfera e dei 1500 chilometri di atmosfera (prima di New Horizons si pensava che l’atmosfera fosse estesa circa 270 chilometri). La sonda, inoltre, ha individuato una cavità nel vento solare, ovvero una regione ricca di azoto freddo e denso che esce dalla fragile atmosfera di Plutone formando una straordinaria coda di plasma che si estende per ben 110.000 chilometri dalla superficie di Plutone.
Per omaggiare questa missione, così importante e vicina a lui, Brian May ha realizzato un nuovo singolo, chiamato “New Horizons“, che è stato diffuso per la prima volta, dal New Horizons Control Center in Maryland, nel momento in cui la sonda ha raggiunto, lo scorso 1º gennaio, la fascia di Kuiper MU 69 2014, detta anche Ultima Thule.
Il brano è dedicato al lungo viaggio della sonda nello spazio e include un messaggio di Stephen Hawking, inviato dall’astrofisico nel 2015 per congratularsi con il team della NASA, nel momento in cui la sonda ha raggiunto Plutone, evento a cui era presente anche May.
Secondo quanto riporta il sito Blabbermouth, Brian May avrebbe dichiarato sulla sua partecipazione alla missione:
“Questo progetto mi ha dato energia in un nuovo modo. Per me è stata una sfida eccitante quella di unire due diversi aspetti della mia vita, l’astronomia e la musica. È stato Alan Stern, il promotore di questa straordinaria missione della NASA, a darmi lo spunto lo scorso maggio. Mi ha chiesto se potevo creare un brano per Ultima Thule che potesse essere suonato nel momento in cui la sonda NH avrebbe raggiunto questa nuova destinazione. Sono stato ispirato dall’idea che questo è il punto più lontano mai raggiunto da un oggetto creato dall’uomo. […] Per me rappresenta il desiderio costante dell’uomo di capire l’universo in cui viviamo.”
Una vita di riconoscimenti
Brian May, che secondo la rivista Guitar World, sarebbe il secondo chitarrista migliore del mondo dopo Eddie Van Halen, e che secondo la classifica del 2011 della rivista Rolling Stone, il 26º migliore chitarrista di tutti i tempi, ha anche un asteroide che porta il suo nome: 52665 Brianmay.
Nel campo dell’astrofisica, ha scritto, insieme a Patrick Moore e Chris Lintott, i libri “BANG! – The Complete History of the Universe” e “The Cosmic Tourist”. Sono celebri anche le sue ricerche “gI Emission in the Night Sky Spectrum“, (1972, Nature) e “An Investigation of the Motion of Zodiacal Dust Particles“, (1973, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society).
Perché alla fine, fisica e musica non sono poi così distanti: “Qualcuno mi ha detto che quando assume i suoi studenti, cerca scienziati che abbiano musica in loro, perché sono i migliori osservatori.”