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Trovata la materia mancante dell’Universo

Di Manuel Contini

Gli astronomi di tutto il mondo, da anni, sono stati fermi su un importante quesito: dove è finita la materia dell’universo?

Da indipendenti osservazioni ormai consolidate, è nota la massa dell’universo appena dopo il Big Bang. Nel periodo intercorso tra i primi minuti e qualche miliardo di anni dopo, tutta questa materia “normale” (come idrogeno, elio, ossigeno e altri elementi) è andata a formare la polvere cosmica che, in seguito, ha dato luogo a stelle, pianeti e altri corpi celesti.

Il problema è che, dopo aver sommato tutta la materia osservabile, tramite gli strumenti dell’astronomia ottica, più di un terzo di essa mancava all’appello (attualmente riconosciuta come “materia oscura“).

Un fisico italiano premio Nobel dietro la missione

Un ruolo chiave per questa scoperta è stato ricoperto dal telescopio orbitale
Chandra X-ray observatory: attraverso i raggi X è possibile osservare zone del cosmo altrimenti invisibili per la strumentazione ottica (operante nello spettro del visibile). 

La missione, lanciata con lo Space Shuttle Columbia nel 1999, fu progettata per avere una durata di cinque anni, per poi essere estesa di molto grazie alle sue incredibili scoperte; ricordiamo tra di esse: l’aver evidenziato prove dirette della presenza della materia oscura, l’individuazione dell’eco prodotto dal buco nero al centro della Via Lattea e le innumerevoli scoperte a riguardo di nane bianche, supernove e pulsar.

Illustrazione artistica di Chandra X-ray observatory. Chandra è il più sensibile telescopio ai raggi X mai costruito. Credits: nasa.gov

La visionaria idea di questa missione fu proposta nel 1976 alla NASA, da Riccardo Giacconi, astrofisico italiano e naturalizzato statunitense, premio Nobel per la fisica (conferito per i pionieristici studi sulle sorgenti cosmiche ai raggi X). Il suo contributo fu rilevante non solo per la progettazione della missione, di cui in seguito ne ricoprì anche il ruolo di direttore, ma soprattutto per aver gettato le basi dell’astronomia ai raggi X.

Rendere visibile l’invisibile

Alcune simulazioni avevano già previsto che questa materia mancante si fosse raggruppata, in seguito al Big Bang, in strutture filamentose intergalattiche: sono tra i più grandi blocchi di costruzione dell’universo, collegano galassie e persino ammassi di galassie. Per il volume enorme (e con la rispettiva densità bassa), il loro colore è estremamente scuro.

Credits: nasa.gov

L’idea alla base della soluzione di questo problema è stata quella di cercare questi filamenti lungo il percorso di un quasar, una fonte luminosa di raggi X, alimentata da un buco nero supermassiccio in rapida crescita situato a 3,4 miliardi di anni luce da noi. Con questo metodo è stato possibile migliorare la rilevabilità dei filamenti.

I conti… tornano

Rimaneva, tuttavia, il problema del basso assorbimento del segnale da parte di questa zona scura dell’universo rispetto all’emissione di raggi X del quasar. Cercando nell’intero spettro dei raggi X, infatti, risultava impossibile distinguere tali caratteristiche di assorbimento, deboli rispetto a fluttuazioni casuali, causati dal quasar.

Orsolya Kovacs (astrofisica coordinatrice di questo studio) e il suo team hanno risolto questo problema andando a cercare solamente in alcune bande di frequenza dello spettro della luce a raggi X, riducendo la possibilità di falsi positivi. Con questa tecnica, è stato possibile identificare fino a 17 possibili filamenti tra noi e il quasar e calcolarne le rispettive distanze.

  

Credits: nasa.gov

Si è risolto, infine, l’ultimo problema della debolezza dell’assorbimento dei raggi X andando a potenziarne il segnale; con questa tecnica si è rilevata la presenza di ossigeno e, con un’estrapolazione dell’intero set di elementi, i ricercatori hanno riferito di aver trovato il “nascondiglio” più probabile della materia.

Il coautore dello studio Randall Smith ha affermato:

In futuro potremo applicare questa tecnica su altri quasar per dimostrare questa tesi. Siamo entusiasti di aver trovato un metodo per rintracciare la materia mancante dell’universo

Dopo aver constatato che questo studio si incastra perfettamente con quanto previsto dalle simulazioni, anche Orsolya Kovacs si è espressa dicendo:

Ora siamo certi di due cose: una parte della materia mancante si trova in questi filamenti e che correre dei rischi può essere molto gratificante. Grazie H1821+643 per essere un buon quasar e averci illuminato quei filamenti oscuri