Orione: bomba atomica non sempre nemica dell’umanità
A cura di Dario Dave De Lorenzo
Nasce proprio con l’intento di trarre vantaggio dall’ energia sprigionata dalla più grande delle interazioni, anche detta forza nucleare forte, il progetto “Orione”. Sviluppatosi tra il 1950 e 1963 dalla General Atomics (sede a San Diego in California) con il sostegno del più celebre DARPA (Defense Advanced Research Project Agency). Consisteva in un veicolo spaziale composto da un endoreattore, la cui funzione era di conferire una spinta impulsiva tramite delle micro esplosioni nucleari a fissione (il processo attraverso il quale nucleo di un elemento si separa in frammenti di minori dimensioni, fenomeno noto anche come scissione nucleare), che, fatte esplodere in prossimità di un disco, avrebbero generato delle onde d’urto. Raggiungere posti relativamente molto distanti in tempi relativamente brevi non sarebbe stato poi così impossibile, tuttavia tale progetto non fu mai portato a termine a causa del fatto che tale razzo sarebbe dovuto partite dalla terra e le micro esplosioni sarebbero avvenute in atmosfera generando delle scorie radioattive. Il progetto fu poi ripreso varie volte, ma solo nel 2000 si concepì l’idea di voler sostituire le cariche nucleari in capsule di materiale fissile e una serie di bobine disposte in modo da formare un ugello magnetico dal diametro di 5 metri.
Il progresso che comportò il progetto “Orione” non fu fine a se stesso, dato che molte aziende e società studiarono vari modi di compiere viaggi interplanetari, ricercando nuovi tipi di propulsione impulsiva. Traendo spunto proprio dal progetto “Orione”, nacque il progetto “Dedalus” (1973-1978) studiato dalla BIS (British Interplanetary Society), implementarono un nuovo metodo di propulsione che utilizzava la fusione anziché la fissione. Composto da un motore a due stadi, il primo dei quali sfruttando l’energia delle 250 detonazioni al secondo dovute alla fusione di deuterio ed elio3 avrebbe fatto raggiungere una velocità pari al 7,1% di quella della luce, il secondo avrebbe poi fatto aumentare la velocità raggiungendo il 12% della velocità della luce, una spinta tale che si stimava di raggiungere la stella di Barnard (distante 5,9 anni luce) in soli 50 anni. Tuttavia ci furono molti inconvenienti, uno dei quali studiato dalla U.S. Naval Academy era dovuto al fatto che il sistema impulsivo a fusione non sarebbe stato in grado di alimentare sia il motore che i sistemi interni, un altro dovuto all’irreperibilità dell’elio3 sulla terra, molte complicanze che portarono quasi al totale annullamento del progetto.
La ricerca non si fermò ma, anzi, iniziò lo studio di nuovi tipi di propulsori ad antimateria. Nacquero, inoltre, vari progetti come il “Longshot”, il “VISTA”, il “Medusa” e “Starchip”, studiato anche dal celebre Dott. Stephen Hawking(1942-2018); tutti con un unico obiettivo: la scoperta interplanetaria e la conquista dell’universo.