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ULA e NASA insieme in una missione per toccare il Sole

Si chiama Parker Solar Probe, la missione della NASA in programma da 60 anni. Sarà la prima sonda a “toccare il Sole”, ed è stata lanciata oggi, 12 agosto 2018, a bordo di un Delta IV Heavy della United Launch Alliance (ULA), alle 9.31 italiane dal Pad 37 a Cape Canaveral.

Partenza del Delta IV Heavy con a bordo la Parker Solar Probe. Credits: NASA.

Caratteristiche della sonda

La missione deve il suo nome al novantunenne Eugene Parker, studioso che teorizzò per primo l’esistenza del vento solare nel 1958. È la prima persona che ha avuto l’onore di vedere il lancio di una sonda che porta il proprio nome.

Sarà la prima missione ad avventurarsi dove nessun’altra è mai arrivata: dentro la corona solare. Tra qualche anno infatti, raggiungerà la minima distanza dalla superficie del Sole, circa 6 milioni di km che corrisponde al 4% circa della distanza Terra-Sole.

La sonda insieme al motore del terzo stadio. Credits: NASA.

È facile capire che la sonda si troverà ad affrontare situazioni veramente difficili, viaggiando all’interno della corona solare. A queste distanze, l’intensità solare sarà 520 volte più grande di quella che recepiamo qui sulla Terra.

Per fronteggiare quindi temperature fino a 1400°C, è stato utilizzato uno speciale scudo termico che, insieme a un sistema di raffreddamento a liquido, permetterà di mantenere temperature di circa 30°C all’interno della sonda.

Lo scudo termico è dello stesso materiale, in carbonio rinforzato, che veniva utilizzato nella parte frontale e nelle ali dello Space Shuttle.

La scelta del razzo

Raggiungere il Sole è ben diverso dal raggiungere gli altri pianeti. Per muoversi nel sistema solare, si cerca di aumentare la propria velocità, sfruttando generalmente l’assist gravitazionale di altri pianeti come Giove. Per raggiungere il Sole però, c’è bisogno di rallentare, e per far ciò, verranno sfruttati diversi fly-by intorno a Venere.

Orbite previste per la missione. Credits: NASA/JPL.

La sonda è molto leggera, pesa infatti 685 kg, e batterà tutti i record di velocità finora detenuti da altre sonde. Nasce quindi spontanea la domanda: perché usare un razzo così potente come un Delta IV Heavy? La risposta è alquanto complicata, soprattutto perché va contro ciò che generalmente pensiamo per un lancio: c’è la necessità di sfuggire dalla forza gravitazionale della Terra, ed è questo il compito principale del razzo, insieme al terzo stadio montato sulla sonda stessa.

Cchema di base del razzo Delta IV Heavy. Credits: ULA.

Durante il lancio infatti, aumenta la velocità relativa alla Terra, ma allo stesso tempo diminuisce quella relativa al Sole, permettendo alla gravità della nostra stella di catturare la sonda, e spingerla verso Venere.

La sonda quindi effettuerà 7 assist gravitazionali intorno a Venere, così da ridurre la propria velocità e avvicinarsi sempre di più alla superficie solare.

Il primo dei sette incontri con il pianeta avverrà il 2 ottobre 2018. Eseguirà quindi il suo primo sorvolo ravvicinato con il Sole, al perielio, il 5 novembre 2018.

Obiettivi della missione

Durante la sua missione principale, la sonda cercherà di rispondere a diversi interrogativi ancora irrisolti. In particolare, verranno raccolti dati per rispondere a tre domande principali:

  1. Quale meccanismo permettere il riscaldamento e l’accelerazione delle particelle nella corona?
  2. Alcune particelle, pochissime, sono accelerate quasi alla velocità della luce. Da cosa è permesso ciò?
  3. In che modo il vento solare viene accelerato a velocità supersoniche all’interno della corona?
Rappresentazione artistica. Credits: NASA.

È bene prestare attenzione alla seconda domanda: quelle poche particelle che vengono accelerate quasi alla velocità della luce (c = 299.792.458 m/s) infatti, sono altamente energetiche e possono quindi penetrare le pareti di una navicella spaziale ed essere potenzialmente dannose per gli astronauti. Queste particelle creano problemi anche sulla Terra o in orbita terrestre.

Uno degli obiettivi finali della missione sarà, infatti, quello di comprendere meglio come vengono accelerate queste particelle, e quindi di prevederle in modo da proteggere meglio le nostre tecnologie e i nostri astronauti.

La speranza è quindi quella di comprendere il più possibile da questa missione. Se tutto andrà come previsto dagli scienziati, verranno effettuati passi enormi nella comprensione non solo del Sole e di altre stelle dell’Universo, ma anche di altri fenomeni astrofisici, come i buchi neri e i loro dischi di accrescimento.