Può sembrare molto strano che un motore possa produrre spinta senza parti moventi al suo interno, ma nell’ingegneria, come ben sappiamo, conta quello che funziona e non quello che sembra lecito. Lo statoreattore o autoreattore, infatti, pur non presentando al suo interno gli abituali compressore e turbina che troviamo in tutti i turbogetti (e loro varianti), riesce a produrre spinta grazie ad una presa d’aria, una camera di combustione ed un ugello, ma a patto di trovarsi in movimento.
Uno dei suoi più grandi svantaggi, che pur lo contraddistingue, è infatti quello di non poter funzionare a punto fisso, ovvero di non poter produrre spinta da fermo. Inoltre, è raro che venga utilizzato a velocità inferiori a Mach 2, o comunque in regime subsonico, poiché in tali condizioni risulta inefficiente a causa del basso rapporto di compressione raggiunto.
L’aria (se l’aereo è in movimento) entra nella presa d’aria, dove viene rallentata fino a Mach inferiore ad 1 grazie ad una particolare geometria che produce urti obliqui, e dove accresce al contempo la sua pressione. La temperatura dell’aria viene poi aumentata nel combustore, ancora imprescindibile, ed infine il fluido ad altissima temperatura, viene fatto espandere in un ugello, dal quale esce a velocità superiore a quella di entrata.
Esiste anche una variante, lo Scramjet (Supersonic Combustion Ramjet) in cui l’aria non viene rallentata fino al regime subsonico, e viene trattata nel combustore direttamente a velocità supersoniche. L’idea di autoreattore risale al 1913 grazie all’ingegnere aerospaziale francese René Lorin, ma il primo prototipo dovette attendere ancora una quindicina di anni, a causa dell’arretrata tecnologia dei materiali dell’epoca.
Questo tipo di motore è stato utilizzato in passato come propulsore di missili e di aerei sperimentali, senza trovare tuttavia largo impiego. L’aereo più conosciuto sul quale è stato montato è sicuramente il Lockheed SR-71 Blackbird, che ha raggiunto velocità difficilmente immaginabili per un velivolo con pilota (3500 Km/h) e che era dotato di un Pratt & Whitney J58: turbogetto con postbruciatore convertibile dinamicamente in statoreattore.
I limiti teorici di questa tecnologia non sono stati ancora ben definiti, e per questo Ramjet e Scramjet sono oggetto di interesse per la realizzazione di velivoli sperimentali (come per esempio il Boeing X-51 WaveRider) per il volo ipersonico, o di particolari lanciatori che utilizzano sia endoreattori che autoreattori, consentendo un risparmio notevole in termini di combustibile. Il successo della tecnologia dell’autoreattore sarà dettato dalle esigenze future del settore aerospaziale, ma fino ad allora una cosa è certa: per volare servono ancora compressore e turbina, altrimenti l’autoreattore non va!