Trieste, 9 settembre 2017. Sono le ore 10:00 presso la sala Oceania del “Centro Congressi Stazione Marittima”. Come da scaletta, presentano l’astronauta Umberto Guidoni e la scienziata Luisa Innocenti (Direttrice dell’ufficio “Spazio Pulito” dell’ESA) per dare inizio all’incontro “A spasso nello spazio”. Tutto grazie alla tappa di settembre dell’evento “Panorama d’Italia” organizzato da Focus.
Forse è il modo migliore per viaggiare nella vastità dell’universo. Ma dove andare? “Ci servirebbe un TripAdvisor dello spazio”, come scherzosamente l’ha definito Guidoni. Ebbene sì, partiamo dal più vicino e simile al nostro dei pianeti, Venere, e finiamo a Trappist-1, il sistema planetario lontano quasi quaranta anni luce, scoperto dalla NASA a inizi di quest’anno.
Guidoni ha sempre la battuta pronta. Irradia quell’allegria che solo una persona che ha fatto ciò che ama durante tutta la propria vita può trasmettere. Classe 1954, Umberto Guidoni è nato a Roma, città in cui ha conseguito la laurea con lode in Fisica, con specializzazione in Astrofisica, presso l’Università “La Sapienza” nel 1978. Cinque anni dopo diventa ricercatore dell’Ente Nazionale Energie Alternative (ENEA) per poi vincere un concorso da ricercatore presso l’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario (IFSI) dove collabora allo studio e alla progettazione del Tethered Satellite System (TSS).
Nel 1990 è selezionato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dalla NASA come candidato Specialista di Carico Utile (Payload Specialist-PS) per la prima missione del Satellite Tethered (STS-46/TSS-1). Viene trasferito a Houston, presso il Centro Astronauti del Johnson Space Center (JSC), dove inizia l’addestramento come PS ed entra a far parte del gruppo di scienziati che coordina, da terra, le operazioni scientifiche del Satellite Tethered a bordo dell’Orbiter Atlantis.
Nel 1994 viene scelto come PS della missione STS-75 e, dopo un addestramento di oltre un anno, effettua il suo primo volo nello spazio a bordo dello Space Shuttle Columbia. Il suo lavoro nello spazio è incentrato sul controllo degli esperimenti elettrodinamici del Satellite Tethered che dimostrano, per la prima volta, la possibilità di generare potenza elettrica dallo spazio. È stato questo il percorso che lo ha fatto diventare, il 22 aprile 2001, il primo astronauta europeo a salire sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) nella sua seconda missione nello spazio.
Quante domande si potrebbero fare a un astronauta che è proprio lì davanti a noi? Innumerevoli! Perciò abbiamo chiesto a voi cosa vi incuriosiva di più, e Guidoni, con il sorriso in faccia e la gentilezza che lo caratterizza, ha risposto. Di seguito vi proponiamo le risposte integre:
“Lei ha detto “civile” quindi scartiamo subito i militari. Metà degli astronauti sono militari e ovviamente provengono da una carriera professionale come piloti (hanno migliaia di ore di volo) e sono selezionati in base a quest’esperienza.”
“Per andare nello spazio, bisogna avere sicuramente un organismo perfettamente funzionate. In assenza di peso, il corpo umano viene messo a soqquadro di quelle che sono le sue condizioni normali: il sangue si sposta verso l’alto, quindi il cuore ne pompa una maggiore quantità, aumenta la pressione oculare e alla testa, insomma, viene portato al limite delle sue abituali funzionalità. Dal punto di vista psicologico, il candidato viene ovviamente analizzato perché si ritroverà a lavorare in un ambiente molto diverso di quelli terrestri, sotto pressione e in condizioni estreme.”
“Per questi motivi, le condizioni psicofisiche vengono analizzate a monte di tutto. Si può presentare un premio Nobel alle selezioni, se non ha però queste caratteristiche fisiche e psicologiche, potrà fare il premio Nobel ma non potrà fare l’astronauta.”
“Poi c’è naturalmente l’aspetto tecnico. Bisogna avere persone capaci di svolgere attività di ricerca in campi come la fisica, la biologia o la medicina -ricorda che ha volato con un medico nella sua seconda missione- perché questo tipo di ricerca è importante sia per il futuro dello spazio, sia per lo stretto rapporto che c’è tra condizioni che si manifestano negli astronauti e le malattie che esistono sulla Terra.”
“Come si diceva prima, gli astronauti sono persone sane, quindi se un campione perfetto si porta nello spazio, e questo inizia a sentire i sintomi dell’osteoporosi e delle malattie immunodeficitarie, sono soggetti perfetti per studiare come si manifestano questi sintomi e trovare eventualmente le cure che funzioneranno bene sulla Terra. Ci sono anche gli aspetti più scientifici, come quelli di cui mi occupavo io in qualità di fisico. Inoltre servono gli ingegneri per costruire e verificare le tecnologie nello spazio e così via.”
“Quando andremo su Marte, avremo bisogno di geologi, di persone che sanno coltivare le patate come tutti abbiamo visto nel film The Martian –scherza, ma non troppo-; quindi è chiaro che lo spettro di competenza andrà sempre di più ad allargarsi.”
“Soprattutto abbiamo bisogno di una cosa che sulla Terra è meno importante, ma nello spazio è fondamentale: la capacità di interfacciarsi con discipline diverse, di essere in qualche modo multidisciplinare.”
“È evidente che non si possono mandare cento persone sul pianeta rosso, ne manderai cinque o sei, e queste dovranno coprire tutto lo spettro. Quindi si avrà bisogno di ingegneri che si intendano di biologia e di biologi che facciano anche i medici per citare due esempi. Bisogna essere capaci di mettere insieme diverse competenze perché lì la realtà è complessa, si hanno poche risorse e più lontano si è dalla Terra, meno si può contare su di essa. Oggi, nelle missioni spaziali, siamo a un secondo luce dalla Terra, quindi basta inviare un messaggio che qualcuno in superficie risponde, non sempre con la stessa velocità -sorride magari per il ricordo di qualche avvenenza-; se sei su Marte te la devi cavare da solo.”
“Vivere in assenza di peso è come vivere in un sogno. Hai una realtà diversa intorno a te: ad esempio, in questa stanza arriveresti al soffitto senza ricadere. All’inizio ti disorienta completamente perché cerchi il tuo ruolo in una realtà assolutamente diversa. Nella Terra sai benissimo i punti di riferimento: hai i piedi per terra e cammini. Nello spazio invece, galleggi. Come ti muovi? Nuoti? Non funziona nuotare, posso garantire! Ho provato! -ricorda con un grande sorriso.”
“Devi trovare un nuovo modo di spostarti e di controllare i movimenti. Capire se è importante stare sempre nella posizione verticale o se puoi stare al contrario. Ti abitui relativamente facile, già nelle prime ventiquattro ore. La cosa incredibile è che ci vuole più tempo a ritornare sulla Terra!”
“Una volta che sei stato nello spazio, anche se poco come nel mio caso –ricorda che è stato al massimo15 giorni-, tornare sulla Terra è difficile: fai fatica a camminare e a stare in piedi, fai fatica addirittura a trovare il tuo posto in un pianeta in cui hai vissuto fino a poco tempo fa. Per chi invece lavora mesi nello spazio, diventa veramente difficilissimo perché non è in grado né di alzarsi né di stare in piedi. Questi astronauti vengono portati in ospedale per seguire un corso di riadattamento che richiede varie settimane. Quindi il paradosso è che è più facile adattarsi all’assenza di peso che il contrario! –ribadisce-.”
“È stata buonissima. Anche perché quando apri il portellone e passi dallo Shuttle, che è un ambiente molto piccolo in cui stai in sette, e vai in questa nuova casa molto più grande, con un certo numero di stanze, ti sembra di entrare in un palazzo. Hai quest’idea di libertà, poi chiaramente te ne rendi contro che non è così.”
“Sull’ISS trovi delle persone molto più abituate di te all’assenza di peso e che si muovono con grandissima precisione. All’inizio sei maldestro e come dicevo prima, quando ti vuoi muovere pensi di dover spostare un po’ di chili quindi dai una bella spinta, invece sbatti immediatamente dall’altra parte! Impari poi che basta un dito per spostarsi e inizi a fare le manovre in modo molto più spontaneo.”
“Gli astronauti più esperti sono capaci di spostarsi lungo tutto l’asse della stazione, esattamente al centro, e di arrivare dall’altra parte. Io un po’ meno! –ricorda ridendo-. Avevo una grande ammirazione per loro anche per questo.”
“L’arrivo di un nuovo equipaggio è chiaramente un’occasione per loro di avere compagnie nuove. Noi portavamo cibo fresco che è una leccornia per chi vive di cibo preparato: l’unico modo, infatti, di ricevere frutta fresca è quando arriva il veicolo da terra. Poi ricevere nuovi libri, dischi, posta e tante altre cose è sempre piacevole.”
Cenni di biografia estratti dalla pagina ufficiale dell’astronauta Umberto Guidoni.
Si ringrazia il collega di Marine su CUE, Fabio Di Fusco, per le riprese.