Fato: il team italiano selezionato tra i finalisti dalla Mars Society
Progettare una missione umana di andata e ritorno da Marte: ecco a cosa ha lavorato un team di cinque studenti del Politecnico di Torino.
Fato, acronimo di First human Approach TO Mars team, è il nome del team italiano classificatosi tra i primi 10 finalisti nell’ambito della International Gemini Mars Design Competition. I cinque studenti iscritti alla Laurea Magistrale nella Facoltà di Ingegneria Aerospaziale presenteranno il loro progetto nel prossimo settembre a Washington alla 19/a convention della Mars Society, organizzazione non profit internazionale nata negli Usa nel 1998 con lo scopo di promuovere a livello politico l’esplorazione del pianeta Marte.
Il team, costituito da Francesco Marino, Dario Riccobono, Gianluca Benedetti, Erik Garofalo, Luigi Mascolo (da sinistra a destra nella foto), si è reso disponibile a soddisfare alcune nostre curiosità. Prima di iniziare l’intervista, i ragazzi tengono a sottolineare come abbiano affrontato il lavoro di team: La partecipazione alla competizione è stata voluta da noi 5 studenti. Tale progetto non fa parte di alcuna iniziativa didattica del Politecnico, né di collaborazioni con altri enti. L’intero progetto è stato sviluppato e portato a compimento interamente da noi cinque studenti senza l’ausilio di docenti, ingegneri, aziende o altri enti. Inoltre siamo l’unico team italiano ad essere stato selezionato tra i 10 finalisti e stiamo competendo con team provenienti da tutto il mondo e in certi casi ben più grandi del nostro (in quanto frutto di collaborazioni tra diverse università) – ci dicono.
Come avete scoperto l’ International Gemini Mars Design Competition e cosa vi ha spinto a parteciparvi?
Siamo venuti a conoscenza della competizione attraverso la pagina della Mars Society. La voglia di metterci in gioco confrontandoci con team provenienti da tutto il mondo e di arricchire le nostre conoscenze in campo astronautico ci ha convinto a prendervi parte. Inoltre la partecipazione ad una competizione di questo tipo ci ha fornito l’occasione per migliorare la gestione del lavoro in team, aspetto fondamentale ed imprescindibile di tutti i progetti ingegneristici attuali.
Di quali aspetti di una missione spaziale vi siete dovuti occupare? Avete ricevuto molti vincoli da rispettare, ad esempio budget o durata massima?
L’obiettivo è stato quello di progettare una missione “end-to-end”, ovvero dal lancio al rientro. Tra le parti più importanti sviluppate vi sono: la definizione della configurazione e della strategia di lancio, la configurazione dello spacecraft, la definizione della traiettorie e delle manovre orbitali, l’analisi e la caratterizzazione dei principali sottosistemi dello spacecraft [EPS, ECLSS, protezione dalle radiazioni, C3 (command, communication, control)], l’analisi del crew factor, la definizione degli obiettivi scientifici della missione, la stima dei costi e dei rischi. Il bando della competizione è stato appositamente definito in modo non eccessivamente specifico; le uniche richieste più esplicite hanno riguardato infatti un limite superiore alla data di lancio (2024), alla dose di radiazioni assorbita dagli astronauti, alle tecnologie utilizzabili. Di fatto, siamo stati noi stessi a definire i constraints di missione al fine di soddisfare i requisiti del bando. Abbiamo imposto infatti un tetto massimo al costo, ai budget di potenza, massa, volumi, deltaV, etc. così da rendere la missione la più sicura, economica e semplice possibile (per quanto possibile).
Raccontateci un po’ l’idea alla base della vostra missione. Come pensate di rendere possibile una missione umana su marte?
L’idea alla base nella nostra missione consiste nel lancio di due vettori Falcon Heavy (a distanza di circa un mese) con l’obiettivo di portare in Low Earth Orbit separatamente un modulo cargo Cygnus insieme ad un modulo abitato BA330 e un modulo di comando e rientro Dragon V2 con a bordo l’equipaggio composto dai due astronauti. In seguito è previsto il docking dei due stacks in modo da comporre lo spacecraft complessivo e iniziare, nel luglio 2020, la missione verso Marte. Dopo circa 6 mesi di cruise phase è previsto il flyby di Marte con il rilascio di 2 cubesat la cui missione sarà di remote sensing del pianeta rosso. A questo punto inizierà il “viaggio di ritorno” verso la Terra durante il quale è previsto un secondo flyby: questa volta di Venere (attorno al quale verranno rilasciati altri 2 cubesats). Il secondo flyby permetterà di raggiungere la Terra entro 600 giorni, a gennaio 2022. In seguito ad una manovra di cattura si entrerà in orbita terrestre a circa 400 km in modo tale da effettuare il docking tra lo spacecraft e l’International Space Station cosicché il modulo abitato da 330 m3 possa andare ad ampliarne il volume disponibile ed essere riutilizzato. A questo punto i due astronauti ritorneranno a Terra a bordo della capsula Dragon V2 effettuando un atterraggio di tipo splash down: sarà il 23 febbraio 2022.
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nel vostro lavoro di team?
Sicuramente lo scoglio più grande da superare è stata la complessità richiesta da un progetto di questo genere. Difatti, il “regolamento” della Mars Society era di una sintesi e facilità fuorviante: “progettare una missione per due persone con flyby di Marte che sia la più semplice, economica e sicura possibile”; in questa apparente grande libertà si celavano numerose insidie che si sono presentate in corso d’opera e che ci hanno messo alla prova. Inizialmente abbiamo accolto la proposta della Mars Society come una grande sfida; lavorandoci su ed arricchendoci in competenze, la sfida si è trasformata in una grande opportunità per formarci come singoli e come team, superando le varie difficoltà. La nostra grande fortuna è stata l’incontrarci e scoprire che, per passioni personali, ognuno di noi era in grado di ricoprire un ruolo utile e necessario.
Quali sono secondo voi i punti di forza del vostro progetto, che potrebbero portarvi a vincere?
Abbiamo voluto pensare ad una missione che di fatto possa essere realizzabile per la data del lancio prevista, questo è stato possibile tramite l’individuazione delle criticità della missione sin dalla fase di definizione dei concepts iniziali. Questo approccio molto realistico al problema non ci ha tuttavia impedito di introdurre alcune tecnologie chiave che attualmente sono oggetto di molta attenzione del mondo scientifico come i moduli gonfiabili che certamente saranno sempre maggiormente presenti nelle missioni future.
Un mese fa è stato portato il modulo gonfiabile BEAM sulla ISS. Cos’ha di diverso il vostro modulo? Come verrà portato su Marte? E perché dovrebbe rendere la vita comoda?
BEAM è un dimostratore il cui scopo sarà quello di testare e validare la tecnologia dei moduli abitativi gonfiabili. In particolare, nel corso del periodo di 2 anni durante il quale rimarrà attraccato alla ISS, verranno testate le tecniche di dispiegamento e gonfiaggio del modulo, la sua tenuta, le caratteristiche strutturali, termiche, di schermatura dalle radiazioni, etc. Il modulo gonfiabile da noi scelto, denominato B330, sarà la naturale evoluzione derivante da tutti i dati che si raccoglieranno grazie a BEAM. Si tratterà innanzitutto di un modulo abitativo progettato appositamente per missioni nello spazio profondo, sarà molto più grande (330 metri cubi contro i 16 del BEAM) e adatto a mitigare gli effetti psicologici della lunga permanenza nello spazio profondo. Sarà inoltre dotato di un sistema completo di supporto vitale in grado di sostenere fino a 6 astronauti. Verrà portato in orbita insieme ad una Cygnus grazie ad un lanciatore Falcon Heavy, come già descritto.
Sappiamo che i CubeSats sono una tecnologia low cost e attualmente utilizzata solo in LEO. Com’è nata l’idea di utilizzarli per una missione su Marte e Venere?
Proprio il fatto di essere un’architettura basata su uno standard ci ha convinti della possibilità di poter utilizzare tale piattaforma per compiere una missione di remote sensing (sia in orbita intorno a Marte che intorno a Venere) contenendo i costi (a differenza delle grandi missioni di esplorazione progettate ad hoc e quindi con un costo molto più elevato). Sottolineo che lo scopo del progetto non è stato quello di analizzare in dettaglio l’architettura e la missione dei CubeSats, abbiamo solo valutato la possibilità di inserirli come piggyback payload (o payload secondario) al fine di soddisfare alcuni degli obiettivi scientifici della missione.
Ringraziamo il team per la disponibilità, augurandogli buona fortuna per la presentazione finale del progetto che avverrà a Washington!